Jannik Sinner ha fatto la storia. Primo italiano a vincere Wimbledon, il torneo dei tornei. Erba sacra, pubblico d’élite, occhi del mondo puntati sul Centre Court. Un successo costruito con pazienza nordica, talento puro e disciplina feroce. Una vittoria limpida, meravigliosa, che riempie d’orgoglio un Paese intero, ma senza la presenza di chi lo rappresenta politicamente.
Perché sugli spalti, accanto a Sinner, c’erano solo i suoi: la squadra, la famiglia, gli amici. Non c’era un rappresentante del governo: né il Ministro dello sport, nessun sottosegretario, neppure il nuovo Presidente del CONI. Nessun volto istituzionale a condividere quel trionfo, a dire simbolicamente: “Siamo qui, questo è anche il nostro orgoglio”. Per Alcaraz, in tribuna, c’era Re Felipe.
E allora la domanda è semplice: dov’erano tutti? Abodi ha chiosato: “Impegni di famiglia”. Forse non hanno capito che lo sport non è intrattenimento; è cultura, è identità, è politica alta nel senso più nobile del termine. È un semplice e perfetto veicolo di diplomazia, di valori, di coesione sociale, di rappresentanza.
Quando un atleta italiano vince a Wimbledon, non trionfa solo lui. Trionfa un sistema, un percorso, una generazione che può guardarlo e dire: “È possibile”. E quel momento va condiviso, celebrato, protetto. La politica, quella vera, dovrebbe esserci. Dovrebbe capire che non basta twittare una foto con un trofeo quando il sudore è asciutto. Bisogna esserci prima, durante, sul campo. Non per prendersi meriti, ma per rappresentare un Paese che riconosce e onora i suoi simboli migliori.
Sinner ha vinto. E va bene così, anche da solo. Ma se avesse perso, avrebbe perso lo stesso. Ha vinto, evviva. Ma ha vinto senza bandiere ufficiali, senza abbracci istituzionali, senza il calore pubblico che la sua impresa meritava.
Lo sport è, da sempre, una piattaforma civile. È ponte tra popoli, tra periferie e palazzi, tra bambini e miti. È una delle poche cose che ci fanno sentire nazione, nel senso più sano del termine. E se davvero crediamo che abbia questo potere, allora dobbiamo smettere di trattarlo come un fatto privato. Jannik Sinner non è un tennista solitario. È il campione di un’Italia che vuole guardarsi allo specchio e dirsi migliore. Ma per farlo serve che lo Stato si specchi con lui. Anche sull’erba di Wimbledon.