A 5 anni dalla scomparsa di Giulio la famiglia Regeni chiede verità. Pronto un esposto contro il governo italiano

Continua a rimanere in piedi il muro che separa Paola Deffendi e Claudio Regeni, i genitori di Giulio Regeni, dalla verità e dalla giustizia sulla scomparsa e uccisione del loro figlio, avvenuta tra il 25 gennaio e il 3 febbraio del 2016 al Cairo, in circostanze ancora non trasparenti. A quasi 5 anni dalla tragica vicenda i due, la sera del 31 dicembre, nel corso della trasmissione PropagandaLive su La7, hanno annunciato un esposto contro il governo italiano per la vendita di armi all’Egitto, per l’inosservanza della legge 185/90, che vieta l’esportazione di armi verso i Paesi “autori di gravi violazioni dei diritti umani”. Ad aiutare Paola e Claudio nella redazione del provvedimento è stata l’avvocata Alessandra Bellerini, legale dei familiari di Giulio.

Un’azione intrapresa dopo un mese di susseguirsi di vicende tra l’Italia e la procura egiziana sul caso di Regeni, su cui forse occorre fare un breve punto della situazione.

L’ultimo mese dell’anno cominciò con la notizia che la procura di Roma chiuse l’inchiesta sul caso, mandando al processo cinque agenti della National Security Agency, il servizio segreto civile egiziano, imputando a quest’ultimi l’accusa del rapimento e dell’uccisione di Giulio. Una posizione in netto contrasto con quella assunta dalla procura egiziana, che negli ultimi giorni di novembre aveva visto un nuovo elemento fare luce sulla vicenda: la comparsa di due testimoni, che secondo Repubblica, avrebbero raccontato di aver visto il giovane dottorando venir rapito proprio dagli stessi agenti sopra menzionati, e di averlo portato prima nel commissariato di Dokki e successivamente presso una struttura a Lazougly. La storia dietro le indagini sulla vicenda di Regeni, dal giorno del suo ritrovamento, è lunga e piena di ostacoli. Numerosi sono i tentativi di depistaggio che la procura di Roma dichiara di aver incontrato fino ad oggi nella ricostruzione dei fatti.

Nelle prime settimane dopo il ritrovamento del corpo, tante false piste susseguirono le indagini. Una delle più note fu la ricostruzione della procura egiziana per cui il rapimento e l’uccisione di Giulio venne imputata – secondo quanto riportato dall’articolo de il Post — ad una banda criminale di rapinatori che aggredivano e derubavano i cittadini stranieri. Nell’aprile del 2016, così, in risposta ai continui tentativi di depistaggio delle autorità egiziane, il governo decise di ritirare l’ambasciatore italiano Maurizio Massari, facendo subentrare un anno dopo, nell’agosto del 2017, Giampaolo Cantini, ancora in carica.

A quasi 5 anni dall’inizio delle indagini, l’arrivo ad punto e a capo per il caso Regeni sembra ancora lontano. Durante questo periodo numerose sono state le campagne e le iniziative di sostegno alla famiglia di Giulio e alla loro ricerca di verità. La più grande, quella partita dall’associazione Amnesty International – #veritapergiulioregeni – che ha fatto di uno striscione giallo a scritte nere un simbolo per milioni di persone, enti e istituzioni di speranza e unione, facendo il giro del mondo. Un messaggio lanciato per non permettere che l’omicidio del dottorando non venga dimenticato.

Lo scorso 10 dicembre sulla maggior parte dei quotidiani italiani uscì la notizia che gli inquirenti italiani avessero chiuso l’inchiesta sulla morte del giovane ricercatore, accusando quattro membri del servizio delle servizio segreto civile egiziano per il sequestro e uno di loro per l’atto di tortura e di omicidio di Giulio.

Poi a fine mese la svolta, un cambio di pagina sulla storia dell’indagine. Nuovamente, il 30 dicembre, i maggiori giornali italiani riportano la dichiarazione della Procura del Cairo di respingere le prove di Roma contro i quattro 007 e di non voler collaborare con le autorità italiane. Secondo quanto riportato dall’Avvenire, in un comunicato ufficiale del Cairo, il Procuratore generale Hamada Al Sawi avrebbe annunciato che non ci fosse alcuna ragione per intraprendere procedure penali circa l’uccisione, il sequestro e la tortura della vittima Giulio Regeni, in quanto l’identità del responsabile resterebbe ancora oggi sconosciuta. Dichiarazioni inaccettabili, le definì la Farnesina.

«Sappiamo di essere soltanto all’inizio di un percorso molto lungo e molto tortuoso che dovrà venire poi di seguito, e quello che noi chiediamo è quello di continuare a sostenerci sempre nel rispetto nei confronti della nostra famiglia e di Giulio» aveva dichiarato Claudio Regeni lo scorso 13 dicembre durante la trasmissione del programma Che tempo che fa, su Rai3. Un percorso cominciato ormai ben 5 anni fa e che speriamo possa concludersi con il migliore degli epiloghi possibili: la piena riconoscenza della verità sull’accaduto, in nome di Giulio.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here