Bologna, 2 agosto 1980. Quarant’anni dalla strage senza giustizia

Bologna, 2 agosto 1980.

È una mattina d’estate come tante, un sabato come tanti, torrido, quello dove molte persone prendono auto, pullman e treni per recarsi in vacanza, al mare o per raggiungere i propri cari dopo una settimana di duro lavoro.

Ore 10:25. Uno scoppio proviene dalla saletta della seconda classe della stazione Centrale di Bologna. Un forte crollo, urla, gente spaventata che scappa cercando aiuto e riparo.

Inizialmente si pensa ad un malfunzionamento della caldaia che ha portato all’esplosione, ma la causa non regge.

La motivazione è ben più grave ed agghiacciante. Ad uccidere 85 persone e ferirne 200 è stata una valigetta contenente 23 kg di tritolo fatta esplodere proprio in prossimità del treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, posizionata in modo strategico su un piccolo tavolo portabagagli del binario 1 sul quale stazionava il convoglio appena giunto, in modo da far crollare tutta l’ala Ovest della stazione.

In migliaia iniziano a mobilitarsi, la notizia fece il giro dei principali notiziari, creando paura e sgomento nella Nazione.

Personale sanitario, forze dell’ordine e civili iniziano a scavare a mani nude cercando di aiutare le persone incastrate tra le rotaie e i calcinacci, trovandosi davanti scene raccapriccianti: corpi mutilati, irriconoscibili, resti di una vita che è stata spazzata via nel giro di pochi secondi.

Era il 1980 e l’Italia stava cercando da uscire dall’incubo del terrorismo degli Anni di Piombo, che aveva portato tante, troppe morti.

La gente era stufa e, come si fa solitamente quando si passa un periodo storico negativo, ci si appiglia a quella piccola speranza di rinascita dopo tante lacrime e paura.

La voglia di ripartire, di ricominciare a vivere serenamente senza paura di saltare in aria da un momento all’altro come successe negli anni precedenti (ricordiamo la strage di Piazza della Loggia e del treno Italicus nel 1974, solo per citarne due) si stava portando via quella scia di sangue che fu protagonista negli anni Settanta.

Quella “calma apparente” durò poco perché quello alla stazione di Bologna fu un effimero, ennesimo attentato terroristico, ad opera dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), commando di estrema destra capitanato dai giovani Valerio “Giusva” Fioravanti e Francesca Mambro e che sarebbe diventata la strage più catastrofica dal secondo dopoguerra in Italia (e che, ancora oggi, detiene questo triste “primato”).

Fin da subito iniziarono i depistaggi. Infatti, fino ad oggi, le numerose indagini che sono state effettuate hanno solo portato alla condanna in via definitiva degli autori materiali della strage (Fioravanti, Mambro, Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini, altri giovani militanti dei NAR).

A distanza di anni però, finalmente, iniziano ad uscire i nomi di alcuni degli ipotetici finanziatori e mandanti effettivi, tra cui spiccano personalità che hanno fatto la storia della Prima Repubblica, come Licio Gelli (il “maestro venerabile” della loggia massonica P2), Mario Tedeschi (direttore de Il Borghese, giornale di destra) ed Umberto Ortolani (imprenditore ed uno dei principali finanziatori della P2).

C’è un piccolo rimpianto, però, in tutto ciò: sono tutti morti, quindi impossibilitati a scontare materialmente la pena.

Da anni l’Associazione familiari delle vittime della strage si batte per il riconoscimento delle colpe a coloro che furono gli artefici dell’attentato ed è vergognoso che abbiano dovuto aspettare quasi 40 anni per far sì che ciò accadesse.

La morte di uomini, donne e soprattutto bambini (la vittima più piccola, Angela Fresu, aveva 3 anni) ha aspettato troppo tempo per essere condannata del tutto.

Ciò che è giusto fare è non cancellare mai dalla memoria collettiva questa strage, anche per non ripetere gli errori del passato che ancora pesano sulla storia del nostro Paese.

Varie saranno le commemorazioni, tra cui il minuto di silenzio alle ore 10:25 e la presentazione della lapide con incisi i nomi delle vittime nella sala d’aspetto dove persero la vita esattamente quarant’anni fa, con la presenza delle Istituzioni: la Presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati e il Vice Ministro dell’Interno Vito Crimi.

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