Crisi demografica: tra instabilità e nichilismo. Perché in Italia non facciamo più figli?

L’Italia sta subendo una crisi demografica senza precedenti, con un calo delle nascite che ha raggiunto livelli mai visti prima dell’Unità D’Italia e una popolazione sempre più anziana. Secondo L’Istat il 2024 ha segnato un calo significativo della fecondità: 1,18 figli per donna, superando il record negativo di 1,19 registrato nel 1995. 

Il dato è legato alla famosa “fuga di cervelli” e a una popolazione residente in progressivo invecchiamento. Questo processo solleva interrogativi sul futuro del Bel Paese con ripercussioni sociali, economiche e politiche di vasta portata. 

Un calo demografico persistente

Secondo il bilancio demografico dell’Istat, dal 2014 questo trend sembra inarrestabile. Nel 2024 sono nati 370.000 bambini, un calo del 2,6% rispetto all’anno precedente, a fronte di 651.000 decessi. Questo saldo naturale rimane fortemente negativo. Sebbene i flussi migratori attenuino il declino, questi non riescono a compensare la perdita: anche con un aumento dei cittadini stranieri il bilancio complessivo rimane critico.

Le cause della crisi demografica

Le ragioni di questo calo sono differenti, in primo luogo si è ridotto il numero di donne in età fertile, diminuite a 11,5 milioni rispetto alle 13,8 milioni del 2004. Questo fenomeno è aggravato da una sempre più crescente posticipazione della maternità da parte delle donne italiane riducendo di molto il periodo fertile a disposizione.

Una possibile interpretazione degli eventi è che i fattori economici e di instabilità del Paese degli ultimi anni hanno influenzato di molto l’andamento delle nascite. 

Anche la condizione della donna in Italia ha influenzato il calo demografico; le leggi italiane, infatti, tendono a perpetuare un modello patriarcale e tradizionalista, come dimostrano le differenze nei giorni di congedo parentale tra uomo e donna. L’enorme gap di queste normative tra i due sessi disincentiva le imprese ad assumere donne che vogliono avere figli e, queste ultime, a non farli per non dover scegliere tra la carriera e la cura della prole. Come risultato, l’occupazione femminile in Italia è la più bassa dell’Europa occidentale.

Possiamo notare che questo trend, cioè la denatalità, riguarda tutto l’Occidente e non solo.

La Francia e la Germania. che guidano l’Europa per tassi di nascite rispettivamente con 1,79 e 1,46 figli per donna, non hanno una quantità di bambini sufficiente a garantire un capitale umano adeguato poiché il valore necessario per garantire la soglia di sostituzione è di 2,1 bambini per donna.

Un’altra speculazione riguardo questi avvenimenti può essere un cambio della cultura diffusa che, negli ultimi anni, tende ad un pessimismo di massa, unito a un edonismo dettato da una società dei consumi. Non a caso la cultura pop odierna produce sempre di più prodotti come canzoni, film e serie televisive che riflettono queste tendenze. 

Si può ipotizzare che il cittadino medio occidentale consideri un cattivo investimento per il futuro la propria prole, sia per tutelare la propria autonomia, percepita minacciata da una responsabilità come può essere quella di allevare un figlio, sia perché è pensiero diffuso della Società del benessere, che per mettere su famiglia ci sia bisogno di un ambiente favorevole. Un pensiero di massa scaturito da quel nichilismo diffuso nella cultura odierna. 

Non si può dare seguito a quest’ultimo sentimento diffuso poiché la percezione di un tempo ideale per riprodursi è stata prodotta dal boom economico del Dopo Guerra. Non è mai esistito periodo nella storia dell’umanità in cui il benessere collettivo è allo stesso livello di quello in cui stiamo vivendo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale

Le conseguenze di un paese sempre più anziano 

Come conseguenza del calo delle nascite l’Italia sta invecchiando rapidamente. Ad oggi l’età media italiana ha raggiunto i 46,6 anni. In Liguria gli ultraottantenni hanno superato i bambini sotto i 10 anni e rappresentano il 10,3% della popolazione.

Il rischio dell’Italia e dei paesi che hanno tassi di natalità simile a quello nostrano è che in un futuro non lontano, lo stato non riuscirà più a gestire i costi del settore sanitario e di quello previdenziale, quest’ultimo già messo a dura prova da un sistema pensionistico non più sostenibile

Una decrescita della popolazione implica anche un crollo del consumo interno.

Tutti questi probabili fattori faranno sì che il PIL italiano sarà a rischio crollo poiché, se il dato delle nascite non si stabilizzerà, la popolazione dello Stivale nel 2080, secondo le previsioni, sarà di 46,1 milioni di individui con un rapporto di anziani e lavoratori di quasi uno a uno.

Non esistono soluzioni facili 

Il declino demografico italiano pone sfide significative. Per evitare di danneggiare ulteriormente la sostenibilità del welfare e la crescita economica servono interventi veloci e mirati: equiparare i giorni di congedo tra i due sessi e aumentare l’accessibilità dei servizi come asili nido potrebbe essere un buon inizio; potenziare politiche migratorie può essere concretamente una soluzione seppur a breve-medio termine. 

La classe dirigente italiana deve prendere atto della ormai diffusa volontà di indipendenza e autonomia della maggior parte della popolazione fertile, limitando l’impatto che la genitorialità può avere sulla percezione della libertà degli individui. Questi processi però possono essere complessi, soprattutto quando si cerca di limitare il condizionamento che possono avere i figli nella quotidianità dei genitori e far crescere e sviluppare dei minori al meglio, garantendo loro contesti domestici dove sentirsi inclusi.

Un investimento per il futuro 

Per secoli fare figli non è stato solo un atto d’amore, ma una scelta profondamente legata alla sopravvivenza economica. Fino a 150 anni fa, quando i sistemi pensionistici non esistevano, erano i figli a garantire il sostegno materiale ai genitori anziani. Questo principio è ancora vivo in moltipaesi in via di sviluppo, dove la famiglia resta il primo pilastro del welfare. 

Anche se in maniera indiretta, il nostro futuro dipende da chi lavorerà domani.

In questo senso, fare figli resta un investimento per il futuro collettivo, un gesto che non riguarda solo il singolo ma il destino economico e sociale dell’intera comunità.

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