Dieci anni di Romanzo Criminale, storia di vite e cinema

Sono trascorsi dieci anni dall’uscita dei primi due episodi di “Romanzo criminale – La serie”, un’opera cinematografica a puntate realizzata da Stefano Sollima e ispirata al libro di Giancarlo De Cataldo (Einaudi, 2002). La serie televisiva suscitò scalpore, giacché per la prima volta ha avvicinato gli spettatori ai fatti romani di cronaca nera, noti ai più grazie all’informazione, ma in nessun’altra occasione umanizzati tramite pellicola a puntate. Infatti, i caratteri mandati in scena da Sollima corrispondevano a dei personaggi esistiti realmente: Enrico de Pedis (Il Dandy), Maurizio Abbatino (Il Freddo), Marcello Colafigli (Il Bufalo) e altri, tutti appartenuti alla banda della Magliana. Alcuni di loro, come Abbatino, si sono pentiti della propria attività efferata e hanno collaborato con la giustizia; altri non hanno cambiato vita, non si sono redenti e sono stati ammazzati, così come funziona fra criminali. Il pentimento non è neppure annoverabile fra le scelte di un boss, che preferisce farsi uccidere, anziché “cantare”. Sicuramente la loro attività delinquenziale fu connessa alle vicissitudini banditesche di un determinato periodo storico: gli anni settanta e ottanta.
Invero, la banda della Magliana nacque proprio nella seconda metà degli anni settanta, con l’obiettivo di unificare diverse realtà malavitose romane sotto una direzione unica. Il boss era Franco Giuseppucci, alias Il Libanese, nato a Trastevere e cresciuto a colpi di pistola, dotato di un carisma da leader innegabile. Omicidi, scommesse d’azzardo, rapine e sequestri di persona erano solo alcune delle attività illecite del gruppo. Non mancarono neanche le supposizioni relative a legami fra la banda e i servizi segreti, la mafia e lo Stato. È evidente che, in un decennio particolarmente bollente, le ipotesi formulate sul clan fossero molte. Tuttavia, le indagini hanno provato che, ad esempio, la banda sequestrò e assassinò il duca Grazioli; uccise il giornalista (già iscritto alla P2) Pecorelli; fu legata perfino al caso Moro. Le memorie potrebbero proseguire. Alla fine, le lotte intestine lacerarono la banda, condussero all’inquisizione e all’arresto di tutti i membri allora in vita.

Nonostante il clamore che destò all’uscita, la serie tv riscosse un successo enorme e divenne popolarissima. Le puntate sono state distribuite in quaranta Stati, a prova della fama internazionale che Sollima è riuscito a raggiungere. Per di più, l’idea di mandare in onda due episodi alla volta, anziché produrre un film per intero, ha suscitato nel telespettatore medio un interesse così forte, da farlo diventare un appassionato consumatore della serie. A volte, soprattutto nei giovani, è nata una sorta di venerazione (o comunque una forte ammirazione) nei confronti dei personaggi di “Romanzo Criminale”. Cattivo esempio? Potrebbe essere. Ad ogni modo, si tratta di una pagina di storia già scritta, che ha lasciato segni indelebili nel passato, da non imitare. Tuttavia, se si mette da parte l’emulazione – sbagliata – dei caratteri criminali e si apprezza l’ottima prova di recitazione degli attori, allora l’esempio dato è assai positivo.

La trama, inquadrata in un contesto preciso, è configurabile fra dramma e violenza. Il rapporto drammatico fra “Il Libanese” e la madre, invocata dal criminale in punto di morte, di notte, quasi come pentimento, con un grido simile a “Ho sbagliato tutto, perdonami”; la solidarietà dei compagni d’armi, rimasti senza una guida, per la morte del capo; il legame fra “Il Freddo” e il fratello tossicodipendente, spacciatore di eroina. Non manca l’amore sporco, nato fra “Il Dandy” e Patrizia, prostituta elevata a maîtresse. Però non è tutto: difatti è presente altresì un amore sentimentale, scoppiato fra “Il Freddo” e Roberta, la quale desidera far redimere il criminale e fuggire con lui, per iniziare una vita nuova. Amori amari. Oltre ai protagonisti, c’è anche un antagonista, ossia il commissario Scialoja, rappresentante di una legalità condizionata, in bilico fra il senso della legge e la trasgressione. Infine, compaiono tanti altri caratteri, raffiguranti gli esiliati dalla società, in cerca di riscatto tramite la malavita. Roma emargina e condanna.

Alessandro Roja, interprete del “Dandy”, di recente ha dichiarato: “Con la serie si riuscì in qualcosa che in Italia succede raramente: realizzare qualcosa di attuale e contemporaneo. Si può dire che Romanzo Criminale cambiò le regole della serialità italiana”. In effetti, nacque un modo nuovo di fare fiction, si portarono in scena gli aspetti nudi e crudi dell’uomo/criminale del passato. Le scene sono oscure, gli eroi meno candidi e Roma rappresenta la capitale di intrecci talvolta poco chiari. Lo scenario romano, nondimeno, è impagabile: la decadenza della città è lo sfondo migliore che il regista potesse scegliere. Suburra (Netflix, 2017), basata sui suddetti connotati, ha avuto tanta fortuna presso il pubblico, anche perché i registi Placido, Molaioli e Capotondi hanno seguito le orme del successo di “Romanzo Criminale”.
Ad ogni modo, il romanzo criminale oggi è ancora in fase di scrittura, dal momento che le vicende non si sono esaurite nel passato. Uomini come Buzzi e Carminati (si citano due fra i più noti, ma l’elenco è lungo, ndr), condannati e detenuti, hanno consumato delitti fino a pochi anni fa. La mafia, quindi, non è circoscritta all’interno di venti anni passati o addirittura dentro una serie tv. È partecipe, purtroppo, della società.

È decorso un decennio, ma la grandezza cinematografica resta. E se il cinema è come il buon vino, che con l’invecchiare migliora, il futuro è prodigo di sorprese.

Dio perdona, il grande schermo no.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here