Gaza, la notte dell’accordo: il piano di pace di Trump tra (molte) speranze e (molte) diffidenze

Dopo due anni di guerra, raggiunto nella notte l’ok di Israele e Hàmas che firmano la prima fase del piano di pace mediato da Donald Trump. Previsto un cessate il fuoco immediato, lo scambio di prigionieri e il ritiro parziale delle truppe israeliane. Ma restano dubbi sul disarmo del movimento islamista e sulla futura governance di Gaza

Dopo mesi di negoziati condotti al Cairo con la mediazione di Qatar e Turchia, Israele e Hàmas hanno firmato nella notte la “prima fase” del piano di pace per Gaza annunciato da Donald Trump.  L’intesa, che prevede un cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi israeliani ancora in vita e la liberazione di quasi duemila prigionieri palestinesi, è stata definita dal Presidente statunitense “un passo storico verso una pace forte, duratura ed eterna”. Sul suo profilo Truth ha scritto: “Sono molto orgoglioso di annunciare che Israele e Hàmas hanno entrambi firmato la prima fase del nostro piano di pace. Ciò significa che tutti gli ostaggi saranno rilasciati molto presto e Israele ritirerà le sue truppe secondo una linea concordata, come primo passo verso una pace forte e duratura. È una giornata storica”. Durante una tavola rotonda dedicata ad “Antifa”, mentre il Presidente rispondeva alle domande dei giornalisti, il segretario di Stato Marco Rubio gli ha chiesto l’autorizzazione per pubblicare il post sui social media che gli avrebbe permesso di annunciare in anteprima l’accordo di pace a Gaza. “Questo è un grande giorno per il mondo arabo e musulmano, Israele, tutte le nazioni circostanti e gli Stati Uniti d’America”, ha scritto ancora. “Ringraziamo i mediatori di Qatar, Egitto e Turchia, che hanno collaborato con noi per rendere possibile questo evento storico e senza precedenti. Benedetti gli operatori di pace!“.

Ma la realtà sul terreno rimane incerta. Il conflitto, esploso dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, in cui almeno 67.183 persone hanno perso la vita, tra cui 20.179 bambini – secondo il ministero della Salute palestinese –  ha devastato la Striscia lasciando profonde fratture politiche e sociali. L’accordo segna una svolta simbolica, ma la sua tenuta dipende da un equilibrio estremamente fragile.

La prima fase del piano

Secondo quanto riportato da The Guardian e Associated Press, l’accordo prevede:

  • il rilascio dei 20 ostaggi israeliani ancora in vita, seguito dalla consegna dei corpi dei prigionieri deceduti;
  • la liberazione di 1.950 detenuti palestinesi, tra cui 250 condannati all’ergastolo e circa 1.700 arrestati dopo l’inizio della guerra;
  • il ritiro graduale dell’esercito israeliano dal 70% del territorio della Striscia di Gaza, con truppe ridistribuite lungo linee di sicurezza concordate e sotto supervisione internazionale;
  • la riapertura di corridoi umanitari per l’ingresso di aiuti e il ritorno degli sfollati nelle aree considerate sicure.

Il cessate il fuoco entrerà in vigore entro 72 ore dall’approvazione formale del governo israeliano, che si riunisce oggi a Gerusalemme per il voto finale, mentre i primi ostaggi dovrebbero essere già rilasciati lunedì (13 ottobre). Secondo Reuters, la decisione sarà cruciale anche per la tenuta interna della coalizione di Netanyahu, divisa tra chi sostiene il compromesso e chi teme concessioni eccessive a Hàmas.

Reazioni contrastanti a Gerusalemme e Gaza

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’accordo “una vittoria nazionale e morale”, ringraziando Donald Trump e i mediatori arabi per “aver aperto una via possibile verso la fine del conflitto”. Tuttavia, i partiti più oltranzisti del governo israeliano criticano la liberazione di prigionieri palestinesi, soprattutto di chi è stato condannato per attentati contro i civili.

Hamas, dal canto suo, ha confermato l’intesa. In un comunicato riportato dal Times of India, un portavoce del movimento ha dichiarato che l’accordo segna “l’inizio della fine del blocco su Gaza” e ha sottolineato che “il rilascio degli ostaggi avverrà in parallelo con i ritiri israeliani”, segno evidente della reciproca dipendenza delle due fasi operative.
Nelle strade di Rafah e Deir al-Balah, la notizia è stata accolta con speranza: feste in piazza si sono alternate però alla prudenza di molti abitanti, che temono che il cessate il fuoco si traduca soltanto in una pausa temporanea, come avvenuto in precedenti tregue non consolidate.

La diplomazia internazionale invece accoglie con favore l’accordo nonostante il cauto ottimismo. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha definito l’intesa “un passo necessario verso la stabilità” e ha invitato tutte le parti a “garantire l’accesso immediato agli aiuti umanitari e la protezione dei civili”.
Il primo ministro britannico Keir Starmer, citato da Reuters, ha sollecitato un’attuazione “rapida e senza ritardi”, mentre la premier italiana Giorgia Meloni ha parlato di “un’opportunità unica per porre fine al conflitto e ricostruire Gaza con un impegno internazionale coordinato”.

Fonti diplomatiche egiziane hanno confermato che le liste degli ostaggi e dei prigionieri sono già state scambiate, considerato un passaggio tecnico ma fondamentale per l’avvio della fase operativa.

Le incognite che pesano sull’accordo

Nonostante l’entusiasmo mediatico, diversi aspetti dell’intesa restano indefiniti.
Il più delicato è quello del disarmo di Hàmas: l’accordo parla genericamente di “riduzione delle capacità militari”, ma non stabilisce né un calendario né un meccanismo di verifica. Israele insiste che la seconda fase del piano dovrà includere un controllo internazionale sulle armi e sui tunnel sotterranei, condizione che Hàmas non ha finora accettato.

Altro nodo irrisolto è la governance post-bellica della Striscia. Secondo una bozza circolata tra i negoziatori e riportata da Haaretz, la gestione civile di Gaza dovrebbe essere affidata a tecnocrati palestinesi sotto supervisione internazionale, con la partecipazione di organismi dell’ONU e di paesi arabi “neutrali”. Tuttavia, nessuna delle due parti ha accettato di definire un modello di sicurezza comune.

Anche sul piano interno, la tenuta dell’accordo è tutt’altro che garantita.
All’interno del governo israeliano, parte della coalizione chiede garanzie per escludere la liberazione di prigionieri responsabili del massacro del 7 ottobre. Hàmas, invece, chiede la fine del blocco economico e la riapertura permanente dei valichi di frontiera — due questioni che restano fuori dal testo ufficiale.

Un equilibrio fragile sotto sorveglianza

Mentre la diplomazia lavora, la realtà militare, però, rimane tesa. Nel nord della Striscia, l’esercito israeliano continua a mantenere posizioni operative e, secondo Haaretz, non prevede un ritiro immediato finché non sarà verificato il rilascio completo degli ostaggi.
Un portavoce dell’IDF ha dichiarato a Al Jazeera che “le forze israeliane restano pronte a ogni scenario”, confermando implicitamente che la tregua, per ora, è una sospensione condizionata delle ostilità. Secondo fonti del Pentagono citate da AP, anche gli Stati Uniti monitorano con attenzione la fase di attuazione, pronti a fornire supporto tecnico per la verifica sul campo. Il timore comune è che una singola violazione — un attacco isolato, un ritardo nello scambio, un malinteso operativo — possa far crollare tutto il processo.

Oltre la tregua: la sfida della ricostruzione

Se la tregua reggerà, Gaza si troverà di fronte a una sfida colossale: ricostruire una società distrutta. Secondo le stime dell’ONU, oltre 60% delle abitazioni sono state danneggiate o distrutte, le infrastrutture civili sono al collasso e più di un milione di persone restano sfollate.
Trump ha promesso un “piano Marshall per Gaza” sostenuto da fondi arabi e occidentali, ma nessun dettaglio operativo è ancora stato definito. Molti analisti, da Foreign Policy a The Guardian, sottolineano che una pace duratura non potrà prescindere da un nuovo equilibrio politico: senza un accordo stabile tra Hàmas, Israele e l’Autorità Palestinese, ogni tregua rischia di trasformarsi in una parentesi.

E mentre Trump rivendica il suo successo telefonando alle famiglie degli ostaggi, che chiedono un incontro con il Presidente per ringraziarlo, le prossime 72 ore saranno decisive. Entro il fine settimana dovrebbe iniziare la liberazione dei primi ostaggi e detenuti ed i corridoi umanitari dovrebbero essere attivati nel sud della Striscia. Rispetto alla ricostruzione, sempre Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti contribuiranno fermamente per mantenere Gaza al sicuro: “Saremo coinvolti nell’aiutarli a raggiungere il successo e a mantenere la pace”, ha dichiarato Trump a Fox News poche ore dopo l’annuncio dell’accordo, aggiungendo di essere molto fiducioso rispetto alla pace in Medio Oriente.

Come ha scritto The Guardian, “questa è forse la più concreta apertura diplomatica dal 2023, ma anche la più fragile”. Ogni ritardo, ogni passo falso, può far precipitare di nuovo la situazione. La diplomazia si muove, come sempre per Gaza, sul filo del rasoio.

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