Ucraina: il tempo dell’incertezza

A cura di Elisa Fagiolo e Marco Scandamarro

In partnership con con Spazio Possibile – Psicologia

Non avremmo mai immaginato, fino al 23 febbraio, di dover scrivere questo articolo ma oggi sembra impossibile non parlare di quanto sta accadendo in Ucraina.

Ci siamo sentiti anche noi continuamente sollecitati dalle tante riflessioni davanti alle notizie di guerra. Alcune foto in particolare ci hanno colpito, spiazzato: hanno interrotto il flusso dei pensieri che solitamente conducono la nostra quotidianità.

Giorno dopo giorno la normalità appare sempre più distante. Ad “avvicinarsi”, invece, sono, tra i tanti, gli sguardi terrorizzati delle madri che evacuano l’Ospedale Pediatrico di Mariupol e i passi svelti e decisi di chi, per mettersi in salvo, deve oltrepassare le macerie delle proprie città, con ciò che è strettamente indispensabile, per proseguire la propria vita altrove. 

Un altrove, talvolta, sconosciuto nel momento in cui si fugge, in cui sarà necessario elaborare la paura, la rabbia, lo sconvolgimento, il suono della sirena che segnala il pericolo e delle bombe, le immagini dei razzi che illuminano il cielo, il buio nel bunker e il silenzio che riempie il viaggio verso un altro paese. Elaborare per ricostruire e dare un significato a ricordi e vissuti che nella mente costituiscono eventi traumatici. 

Il trauma è, di fatto, l’interruzione di una continuità che improvvisamente stravolge le esistenze e la prevedibilità della vita che si credeva di possedere. Porta a fare i conti con l’imprevisto, l’urgenza e il limite della condizione umana.

Dunque, ciò che rappresenta un ulteriore pericolo, di natura psicologica, per le persone coinvolte è la ripetuta e prolungata esposizione ad eventi traumatici che, a differenza di quelli circoscritti, si verifica nel caso in cui le vittime si trovano in uno stato di prigionia, impossibilitati a scappare e sotto il controllo di un persecutore (Herman, 2009). 

Le tipologie di risposta a cui assistiamo sono molteplici: scappare, resistere oppure nascondersi sentendosi impotenti. Tutte hanno a che fare con l’attivazione di meccanismi psicologici orientati a mettere in campo  strategie e risorse di sopravvivenza necessarie per reagire agli accadimenti. Ciò che diviene indispensabile in una situazione di emergenza è attivare risorse fuori dall’ordinario.

Noi tutti, in queste settimane, assistiamo ad un nuovo tipo di emergenza di carattere antropico, determinata da conflitti tra uomini che ancora non hanno superato quella sanitaria; ci troviamo in un’epoca di duplice crisi e catastrofi.

I vissuti di preoccupazione e disorientamento che si presentano nella nostra mente nascono proprio dall’essere partecipi e coinvolti a quanto sta succedendo. Essere continuamente informati senza necessariamente agire per scappare o proteggerci dal pericolo, a cui può risultare difficile attribuire un senso.

Pertanto, è funzionale mentalizzare e riconoscere i propri vissuti, dare voce alle emozioni per “digerire” il dramma che sta accadendo, con il fine di promuovere azioni concrete di aiuto che possano esprimere solidarietà e renderci partecipanti attivi di questo tempo incerto.  

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