INTERVISTA ad Anna_X: Le parole che non si ascoltano sono musica per chi sa’ ascoltare

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“Ho affrontato un dolore spaventoso e indefinibile. Agli altri sembrava insensato. Tanto da insinuare che lo stessi inventando. Così senza indicazioni né certezze, ho affrontato un viaggio da sola. Portando dentro smarrimento e panico. Assistendo al crollo della mia persona. Alla mia morte interiore. Convivendo con il dubbio di aver perso per davvero la ragione. Ma più di tutto ho sentito che era necessario trovare una soluzione per resistere. E ho finito per costruirmi un modo nuovo di vivere e un nuovo spazio dove farlo. Che ho finalmente potuto chiamare Me”

E’ così che si presenta Annalisa, scrivendo l’incipit della sua storia. Una storia che inizialmente doveva essere solo un diario ma che, in seguito, quasi inaspettatamente per la sua stessa autrice, è diventata un libro di pensieri e parole complicate come nodi, tanto difficili da districare quanto salifichi, non solo per lei, ma per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarla. 

Annalisa sa’ che ogni essere umano ha dentro di sé un intero mondo e spesso, si porta dentro un dolore inesplicabile a cui non può o non riesce a dare voce; un dolore che tuttavia dev’essere espresso perché chi lo pronuncia per nome possa guarire e chi lo ascolta invece, possa capire che il male, quando non viene ascoltato,  è in grado di uccidere.  


È l’1 Marzo del 2016 quando Annalisa decide che racconterà la sua storia, ma senza parlare. Saranno gli altri a farlo, attraverso la sua scrittura. Prende in mano la penna e, guardandosi allo specchio, si traccia una X sulle labbra: E’ nata Anna_X e, insieme a lei, il suo progetto più grande “Le parole che non si ascoltano”.  Ce ne vuoi parlare ? 

Rileggendo le parole “è nata Anna_X”,  mi viene la pelledoca. Ho creduto fosse un caso Rita, ma  già mentre leggevo, ho capito che qualcosa dentro di me stava già rispondendo alle tue parole. In questi giorni le ho rilette spesso per prepararmi a questa straordinaria esperienza. 

La decisione di non parlare ha assunto significati inaspettati, prendendo vita in modi sempre diversi che, in un anno e mezzo di progetto, si sono mostrati in varie forme davanti ai miei occhi aperti all’inatteso. Innanzitutto indossare una X sulle labbra e non far sentire pubblicamente la mia voce, ha significato portare un messaggio molto forte in difesa di chi si sente imprigionato in una situazione che non riesce a far comprendere agli altri. In secondo luogo, indossare la X mi ha aiutata ad ascoltare di più, restando al mio posto, senza l’ansia di intervenire. Mi ha permesso di osservare le persone elaborare le proprie parole mentre le pronunciavano e di trovare nuove soluzioni che fino a quel momento venivano trattenute da pregiudizi e paure. Mi ha anche dato la possibilità di ascoltare le mie stesse parole interpretate da altre persone che le leggono in centinaia di modi differenti. E di riscoprirne emozioni che da sola non avrei mai colto.

Nel progetto “Le parole che non si ascoltano” vive un grande segreto; ovvero le conseguenze che vivo adesso, derivate dalla mia storia travagliata e che condizionando fortemente molte mie capacità e quindi la mia quotidianità. Se avessi scelto di spiegare tutto fin da subito sono certa che molte persone avrebbero pensato di essere lontane dalla mia realtà. Ma io sono qui per condividere un mondo emozionale, che va oltre ogni causa o situazione. Una persona può soffrire per ragioni molto diverse da altre, eppure provare gli stessi sentimenti, le stesse incertezze. Io sono qui per cercare di non far sentire sole le persone. Ci sono amici ed amiche che mi conoscono solo attraverso i social e che ogni giorni attendono un mio messaggio. Accolgono con grande affetto la mia presenza virtuale e geograficamente lontana. Questo mi fa capire quanto è grande il vuoto intorno a loro, ma anche l’immenso valore che danno alla mia amicizia. Il vuoto che sentono mi fa soffrire molto, perché ho vissuto in prima persona un totale isolamento sociale. Ciò mi spinge a fare delle vere acrobazie nella mia vita per poter “essere” lì  per loro; ma per me hanno un valore inestimabile. Sono diventate una vera ragione di vita, nonché  causa di profonda gratitudine.

Una delle domande, riguardanti i disturbi mentali, più digitate sulla barra di motori di ricerca come Google o Safari è: “Può la depressione arrivare senza motivo?”, come se la depressione fosse un demone dallo sguardo cieco, pronto ad assalire le proprie vittime cogliendole alle spalle; nessun avviso a prevenirne l’avvicinamento. Eppure, quando si parla di depressione, non si tratta affatto di questo. La verità è che, per quanto possa essere difficile da affrontare, o persino da accettare, non vi possono essere sviluppi depressivi senza alcuna ragione, senza una o molteplici cause a spingerci lentamente in quel baratro tanto oscuro quanto orribilmente reale. Nella maggior parte dei casi, le ragioni che si celano dietro i disturbi depressivi non coincidono con il ragionamento lineare ed è pressoché riduttivo, se non impossibile, rintracciare un’unica causa originaria o un evento determinante in grado di spiegare il sopraggiungere di un fenomeno tanto complesso. Bisogna affinare il proprio cuore ed essere disposti ad andare oltre per capirne le cause, avendo la forza di essere sinceri, con se stessi ancora prima che con gli altri. Spesso la depressione, al contrario di quanto si è portati a credere, non coinvolge unicamente la sfera mentale ma anche quella fisica, rallentando movimenti e pensieri che, stretti in un loop di negatività, si fanno sempre più densi e soffocanti. Fattori psicologici, sociali o perfino biologici, si intrecciano in un unicum che varia da persona a persona, dando vita a una sintomatologia estremante varia, così varia da rendere spesso difficile riconoscere, persino in prima persona, di essere caduti in un vortice depressivo. Forse è proprio per questo che la depressione viene anche chiamata “la malattia invisibile”; solo chi ne è affetto la può percepire eppure, si calcola che nel mondo ne soffrano circa 350 milioni di persone e a confermarlo è l’Organizzazione mondiale della sanità. Attacchi di panico, necessità di fuggire da sé stessi e un’isolamento lento ma inesorabile; stare nel proprio corpo, quando si è affetti da depressione, è come vivere in una scatola di plexiglas: il mondo esterno diventa lontanissimo ed essere capiti o anche solo raggiunti, sembra impossibile. Dico sembra perché la tua esperienza, Anna, ha dimostrato il contrario. A questo proposito, attraverso la voce di una tua cara amica, in un video messaggio dici: “La strada per rinascere passa da una morte che nessuno vede e sente. Tranne chi ne è sepolto vivo. E affronta il terrore di dover contare solo su sé stesso per potercela fare.” Eppure, appena qualche minuto dopo, affermi qualcosa che potrebbe sembrare sconcertante, ovvero che il tuo progetto, le storie di tutte quelle vite che si rivolgono a te, riguardano tutti, quelli che stanno male e quelli che stanno bene; sottolineando come il mondo, la vita stessa, a ben guardarli, non siano altro che un equilibrio di forze e che, la gioia, non potrebbe esistere —o meglio, non sarebbe la stessa— senza il dolore. 

In merito a ciò: Credi che il dolore che hai vissuto sia stato in qualche modo necessario a creare quel che sei? Qual’è stata la scintilla che ti ha fatto capire che il tuo dolore poteva essere qualcosa di più, un seme positivo e visibile per coloro che vivono la tua stessa situazione? E sopratutto, secondo te cosa sarebbe necessario fare per consapevolizzare meglio la società riguardo questi temi, rendendo la depressione sempre meno un “disturbo invisibile” o un tabù da demonizzare ma qualcosa di reale, di cui bisogna parlare per poter guarire? 

Il dolore che ho vissuto e che mi porto addosso mi è stato necessario non tanto per diventare la persona che sento di essere oggi, ma per avere il coraggio di non nasconderla. La disperazione mi ha davvero rinchiusa in una campana di vetro che mi toglieva ossigeno e che ho dovuto infrangere con tutte le mie possibilità fisiche ed emotive per riprendere a vivere. La scintilla per tramutare la mia esperienza in un progetto di felicità, perché è questo che vuole essere “Anna_X – le parole che non si ascoltano” è nata in me ma non me ero resa conto. Sono state due persone che stimo ad avvicinarmi all’idea di rendere pubblico il grande amore per la vita che nutro nonostante io sia una sopravvissuta. Mi hanno indicato una strada. Io ho sentito “di pancia” che dovevo seguirla. Anche se il mio cuore moriva di paura. A guarire la paura è stato l’amore del mio compagno per ciò che sono. La sua totale fiducia in me mi ha esortato a credere in me. Solo dopo questo processo si è accesa una fiamma nella mia vita che la illumina. E che non intendo più spegnere.

La depressione e la disperazione sono come soffi di vento: invisibili eppure capaci di distruggere ogni cosa al loro passaggio. Si intrecciano. Tolgono il fiato. Paralizzano. Acciecano. La società ha la grande colpa di ignorare e denigrare questo tipo di situazione, come molte altre purtroppo. Ecco perché sono convinta che l’opportunità più grande per una persona che soffre sia avvicinarsi ad altre da cui si senta compresa, per poter entrare in un processo benefico ma anche per identificare e dimostrare il proprio valore. Nei momenti peggiori che ho vissuto, il pensiero più crudele che mi assillava era “non servi a niente” “non vali niente” “sei solo un peso”.

Ho poi capito che mentre mi sentivo così, plasmavo una realtà terrificante di cui ero protagonista. E chi viveva intorno a me rifletteva questi pensieri di cui io stessa mi vestivo. Mi condannavo per non riuscire più ad essere performante come prima, soprattutto lavorativamente. Mi ci sono voluti anni per comprendere che ciò che siamo è una ricchezza innumerevoli volte superiore a ciò che “possiamo fare”. E che in questa definizione ci sono anch’io e ci siamo tutti. Ci confrontiamo con parametri materiali che ora ritengo assurdi. Sono tornata a vivere quando ho compreso che il senso della mia vita è nei rapporti con le persone. Dove sono il mio intelletto, la mia emozione ed il mio cuore a contare. E questi non possono essere misurati o messi a confronto con nulla, se non con la gioia che possono generare in me e nelle persone che abbraccio con la mia esistenza. 

E visto che siamo qui per essere felici sono dell’idea che questo basti per alzarsi ogni giorno e fare tutto ciò che si può fare per riuscire a sorridere.

“Se le emozioni non si convertono in parole o gesti e se la bocca resta chiusa, esse rimangono prigioniere nelle persone che, senza confronto, credono di percorrere la strada giusta; e non si accorgono che una tangenziale non è unautostrada. Sono molto simili. Ma solo lautostrada ti porta fuori città” questa è una delle prime linee da te vergate sul tuo diario, lo strumento da te prescelto per fare chiarezza non solo riguardo a ciò che stavi vivendo dal punto di vista relazionale ma, sopratutto, da un punto di vista più intimo, legato al tuo stato emozionale. Sono diverse le attività a cui lessere umano, quasi per una sorta di naturale necessità o istinto, si dedica da millenni, e che, seppur non possano certo essere equiparate alle terapie mediche, assumono un valore immenso per la nostra vita. Lasciare che le proprie mani diano alla luce un quadro, scrivere ciò che accade fuori e dentro il nostro mondo… è attraverso l’arte che i pensieri che affollano la nostra mente e le emozioni a cui non sappiamo dare un nome, assumono un corpo tangibile, permettendoci di  comunicare e di superare così blocchi e difficoltà. Ad affermarlo sono le molteplici ricerche scientifiche condotte sull’argomento; come gli studi portati avanti da James Pennebaker —dell’Università del Texas ad Austin— e Joshua Smyth, PhD, dell’Università di Syracuse, pubblicati nel 1998 sul Journal of Consulting and Clinical Psychology. Tali studi indicano che, trascrivere le proprie emozioni e pensieri, nonché il dolore che proviamo può, non solo aiutarci a risolvere traumi direttamente collegati a situazioni di stress e\o depressione, ma può persino potenziare il funzionamento del sistema immunitario in pazienti in cura per malattie come HIV, AIDS, artrite ed asma. Non si tratta di  scrivere un romanzo —anche se dare vita a un racconto spesso può essere un’ottima soluzione per guardare ciò che ci accade da un diverso punto di vista— quanto di quel tipo di scrittura in grado di farsi via, sentiero intimo per raggiungere la consapevolezza di sé. Scrivere permette di arrivare in profondità, di scuotere il nostro inconscio e tendere una mano a ciò che ci turba, portando alla luce tutte le barriere che abbiamo costruito dentro di noi e che ci tengono lontano da tutto ciò che vorremo essere e fare. Nel momento in cui troviamo la parola per esprimere un trauma, dentro di noi qualcosa cambia; lo dici spesso nel tuo diario. Eppure, la tua esigenza di scrivere non è figlia delle tue esperienze più dolorose, ne tantomeno è nata per esorcizzare uno stato d’animo, ma ha radici più lontane, che risalgono alla tua prima giovinezza. Il tuo amore per la scrittura nasce da un altro amore, quello che tu dichiari essere uno dei più grandi e fondamentali della tua vita: la lettura. Un giorno, dopo anni in cui per te sarebbe stato impossibile anche solo pensare di leggere, in una piccola libreria a 300 km da casa tua, hai posato gli occhi su una copertina ed è stato in quel momento che tutto è cambiato davvero. Dal quell’incontro inaspettato con un libro speciale, è nato #Leggerecisalva, un’hashtag da te creato e alla quale dichiari di essere affezionata in maniera particolare. Attraverso questo piccolo spazio interattivo racconti, utilizzando la tua storia personale come uno specchio, di come i libri ti abbiano salvata, spingendoti a trovare la forza per ricominciare da capo. 

La curiosità a questo punto è forte, come può un libro avere un simile impatto su una persona? Quali sono i libri che più di altri, ti hanno fatto capire di non essere sola, quali di essi ti hanno infuso una rinnovata speranza?  

Un libro da leggere è una possibilità. Per me i libri sono stati dapprima uno spazio di confronto senza uguali, per un motivo semplice eppure determinante: all’epoca mi confrontavo solo con me stessa. Le parole dei primi libri che ho letto, prendevano vita nella mia mente e nessuno, a parte me, aveva la possibilità di interpretarli o giudicarli. Ero l’unica a poterne trarre un ragionamento, un ragionamento di parte, personale. In questo modo i libri mi hanno aiutata a scoprirmi e conoscermi. E naturalmente a trovare nuove strade e soluzioni. In occasione di una diretta Instagram ho rivelato uno dei miei segreti, ovvero che, per conseguenze della mia storia, non sono in grado di ricordare ciò che leggo e scrivo. Ecco perché nel 2014, in quella piccola libreria, la copertina e la trama che sono riusciti a catturare la mia attenzione, sono diventati una vera occasione per me. 

All’epoca avevo adottato un piccolo Yorkshire. La copertina di “La libreria degli amori inattesi” di Lucy Dillon ne ritraeva uno e così l’ho scelto tra tanti.  La trama mi ha regalato un piacevole intrattenimento, la scrittura di questa autrice mi permetteva di ricordare quasi sempre ciò che leggevo e ricordare la storia (non ricordo un film nemmeno se lo rivedo dopo 20 ore tanto per dare un’idea del mio problema). Nei momenti in cui non riuscivo proprio a comprendere, leggevo ad alta voce per allenarmi nel parlare (nemmeno quello era semplice in quel periodo) e così questa esperienza è diventata un allenamento alla mia portata. E successivamente un trampolino di lancio. 

Purtroppo non riesco a ricordare titoli che mi abbiano fatto capire di non essere sola perché perdo molte informazioni a causa dei miei problemi di memoria. Tuttavia, ogni volta che leggo un nuovo libro, in me si infonde, in maniera del tutto inaspettata, una rinnovata speranza. Credo che, come accade per gli amici, sia importante dare una possibilità a tanti libri, per incontrare quelli che ci possono emozionare e rimanere accanto per sempre.

In un meraviglioso film, nato dalla regia di Gabriele Muccino, “Alla ricerca della felicità”, il protagonista, Chris Gardner, pronuncia delle parole destinate a diventare qualcosa di più di una semplice invettiva sui sogni: “Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Se hai un sogno tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa, lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. Punto.” Cosa significa davvero inseguire un sogno? Nonostante il dolore, nonostante le difficoltà? E sopratutto cosa c’entrano i sogni con la depressione? A regalarci una risposta sei stata proprio tu, Anna, non solo attraverso la tua storia, ma anche attraverso il tuo operato. Ascoltando le tue parole non si può fare a meno di pensare che, uscire dalla depressione, non sia altro che rinascere, prendere in mano le redini della propria vita e incominciare un nuovo cammino, indossando orgogliosamente le proprie cicatrici. Per farlo non basta che (ri)cominciare a sognare, ritrovare il gusto per le cose lasciate indietro, inventarne di nuove senza porsi alcun limite, spingendo la propria immaginazione verso territori inesplorati. Tu ci credi fortemente in tutto questo e, a dimostrarlo, è uno dei tuoi progetti più grandi: “Il quaderno dei sogni”, nato per far capire a tutti, nessuno escluso, che i sogni continuano a vivere, anche quando li ignoriamo, anche quando ci sembra di non averne affatto. Dentro di noi, i sogni continuano a esistere ma, perché questi si realizzino, è necessario crederci e condividerli, perché solo se li condividiamo possiamo dare loro voce.


Vuoi spiegarci come è nato questo progetto? In cosa consiste e chi può prenderne parte? 

La disperazione non è stata purtroppo il nemico più grande che ho dovuto affrontare e di cicatrici e ferite ancora aperte, ne porto tante. Intraprendere un nuovo cammino, muovere i primi passi, ha fatto rifiorire in me l’amore per i sogni. Negli ultimi anni sono stati il fulcro del lavoro che ho fatto su di me. Per quasi dieci non mi sono potuta concedere la possibilità di dedicarmi ad altro oltre al lavoro. Nessun margine di tempo libero. Mai . 365 giorni all’anno (sulle mie pagine social sto per raccontarne il motivo). Quindi, nelle pause, mi sedevo in un angolo al computer e cercavo immagini di fiori, opere d’arte, luoghi naturali. Avevo un disperato bisogno di governare pensieri negativi assillanti. Osservare quelle foto mi dava sollievo. Immaginavano storie, mondi, viaggi. Ne sono stata influenzata e quindi ho ripreso mese dopo mese a curare piccoli spazi della mia vita con colore e idee. Poi nel 2015 ho sfidato tutto e tutti per mantenere una promessa fatta a mio figlio: un viaggio io e lui in qualsiasi parte del mondo avesse desiderato. Quando ho palesato questa volontà a costo di perdere il lavoro ho ricevuto da tutti sostegno, comprensione ed entusiasmo. E lì ho capito che se qualcosa è importante per noi la strada giusta è una sola: dimostrarlo. Da quel momento vivo così i miei sogni : li cullo nella mia mente provando emozioni profonde nel dipingerne i dettagli, li scrivo e li rileggo lasciandomi trasportare dalla fantasia e soprattuto ne parlo con tantissime persone. Così facendo ho trovato decine di amici felici di condividere ed aiutarmi a realizzarli. I miei sogni sono tutti dedicati al bene ed alla felicità miei, della mia famiglia e di ogni persona che incontro e che desidera dedicarsi ad un cammino di gioia. Durante il primo lockdown ho sentito il desiderio di raggiungere più persone possibile e così è nato il “quaderno dei sogni”

Ho creato due versioni.

Il “Quaderno dei Sogni viaggiante” è un semplice quaderno che viaggia di mano in mano per il tutto il mondo (spero), portando con sé piccoli e grandi tesori, speranza e felicità. Può partecipare chiunque semplicemente chiedendomi di spedirgli un quaderno. Come si usa ?

Basta scriverci dentro un desiderio (personale o di chi amiamo) o anche 5, 10, 100 desideri! E scrivere poi una cosa bella che ci è successa o che abbiamo visto succedere. Chiedo di tenere il quaderno al massimo per 7 giorni e poi di farlo continuare nel suo viaggio. Questo quaderno deve passare di mano in mano a persone di qualsiasi età e provenienza. Pertanto quando si ha finito di usarlo, si sceglie una persona che si ritiene speciale e glielo si affida per fare la stessa cosa (scriverci dentro un sogno ed un gesto di bene e poi passare il quaderno a qualcun altro). Pensa a quante persone leggeranno decine di desideri e si emozioneranno. Chi completa l’ultima pagina del quaderno (o non ha nessuno a cui passarlo) prepara un pacchetto e me lo rispedisce. Prendendo ispirazione dai sogni e gesti di bene che raccoglierò nei quaderni, realizzerò contenuti, iniziative, eventi e video per condividerli sia dal vivo che attraverso il mio sito ed i social.

Ma Rita, ti dirò di più: a te in esclusiva rivelo la sorpresa più grande che ho preparato e che riguarda questi quaderni. Una cosa che non sa ancora nessuno (tranne i miei ambasciatori dei sogni che mi hanno aiutata a far partire circa 70 quaderni dei sogni in Italia).

Quando i “Quaderni dei Sogni -viaggianti” torneranno da me non realizzerò solo contenuti ma, con tutte le possibilità di cui sono capace, sogno di andare a realizzare a sorpresa i sogni delle persone che avranno scritto nei miei quaderni.

Mi sembra il minimo considerando la fiducia che ripongono in me affidandomi i loro sogni.

Accanto al progetto viaggiante ho creato anche un “Quaderno dei Sogni – personale” . Un quaderno che si tiene tutto per sé, personalizzato con il proprio nome: stampato dal mio editore oppure scritto a mano da me. Molte persone lo stanno scegliendo come dono per il proprio percorso di felicità e per quello di famigliari, conoscenti, bambini e amici lontani e vicini. Le spedizioni a sorpresa ci stanno emozionando molto.

I quaderni dei sogni personali si acquistano scrivendomi sui social o attraverso la mia mail scrivimi@annax.it e tutto il ricavato andrà a sostenere la realizzazione dei sogni dei quaderni viaggianti.

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