L’Europa approva il diciannovesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Gli Stati Uniti colpiscono Rosneft e Lukoil. Le compagnie cinesi sospendono gli acquisti di greggio russo e l’India riduce le importazioni. L’isolamento economico del Cremlino entra dunque in una nuova fase
La nuova offensiva sanzionatoria lanciata da Bruxelles e Washington non è solo un gesto politico: tocca il nucleo vitale dell’economia russa — l’energia — e mette alla prova la sua capacità di adattarsi a un isolamento ormai strutturale. L’obiettivo dichiarato è chiaro: ridurre in modo duraturo le entrate di Mosca, soffocando i canali di finanziamento della guerra. Ma l’impatto reale di queste misure si giocherà su un equilibrio delicato tra mercato globale, alleanze regionali e resilienza interna del Cremlino.
Da mesi si percepiva un cambio di tono, ma ora è ufficiale: la guerra economica contro la Russia è entrata in una fase di sincronizzazione tra Washington e Bruxelles.
L’Unione europea ha approvato il diciannovesimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino, mentre gli Stati Uniti hanno annunciato un nuovo blocco contro i giganti dell’energia russa, Rosnefte Lukoil. Sul piano politico e finanziario, è la risposta più coordinata tra Europa e America dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Anche se il segnale più clamoroso arriva da Oriente: la Cina, finora salvagente economico e diplomatico di Vladimir Putin, ha sospeso gli acquisti di petrolio russo trasportato via mare.
Lo ha rivelato Reuters, citando fonti commerciali secondo cui le principali compagnie statali — PetroChina, Sinopec, CNOOC e Zhenhua Oil — hanno congelato gli ordini per evitare di incorrere nelle sanzioni americane. Una decisione che rompe un equilibrio costruito con pazienza negli ultimi due anni: quello di una Russia capace di vendere il proprio petrolio a Oriente, aggirando le barriere dell’Occidente.
Scelta, per molti analisti, da un lato prevedibile quanto, forse, azzardata. Per mesi infatti, il gas era rimasto fuori dal perimetro delle sanzioni europee: troppo delicato, troppo strategico per paesi come Germania, Italia o Ungheria. Con il nuovo pacchetto di sanzioni invece, Bruxelles introduce per la prima volta restrizioni sull’importazione di gas naturale liquefatto (GNL) russo, toccando il cuore dell’economia di guerra di Mosca. Il meccanismo introdotto è graduale: stop ai nuovi contratti, riduzione progressiva delle forniture esistenti e misure dissuasive per i porti europei che movimentano il GNL russo, come quelli in Belgio, Spagna e Francia: “La nostra priorità è mantenere la pressione sull’aggressore,” ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. “Per la prima volta colpiamo il settore del gas, il cuore della macchina finanziaria di Putin. Non cederemo finché l’Ucraina non avrà una pace giusta e duratura.”
Il pacchetto include anche un nuovo regime di restrizioni sui diplomatici russi presenti nei paesi dell’Unione, accusati di condurre attività di influenza e disinformazione.
Il ministro degli Esteri danese Lars Løkke Rasmussen lo ha definito “un passo concreto che dimostra come le sanzioni stiano funzionando”. In parallelo, Bruxelles introduce sanzioni mirate contro istituti bancari russi, piattaforme di criptovalute e società di intermediazione con sede in India e Cina, accusate di facilitare l’accesso della Russia a componenti tecnologici per uso militare. Ma l’America colpisce anche i giganti energetici di Mosca. Negli stessi giorni infatti, a Washington, l’amministrazione Trump ha rilanciato la propria offensiva economica contro il Cremlino. Rosneft e Lukoil, due tra le più grandi compagnie petrolifere del mondo, sono entrate ufficialmente nella lista nera del Tesoro americano, che vieta a qualsiasi soggetto di trattare con loro in dollari, euro o yuan. “Era il momento giusto,” ha dichiarato il segretario al Tesoro Scott Bessent, “per rispondere al rifiuto di Putin di mettere fine a una guerra senza senso.” L’obiettivo, ha aggiunto, è “tagliare le gambe alla macchina finanziaria che sostiene il conflitto”. Il presidente Donald Trump ha ribadito la linea: “Le sanzioni sono uno strumento di pace. Le abbiamo ritardate per mesi per dare spazio alla diplomazia, ma ora la Russia deve capire che l’invasione ha un costo.” Un Trump diverso dunque, che tiene una linea dura e che punta alla risoluzione del conflitto.
L’effetto sui mercati è stato immediato: il prezzo del petrolio è schizzato in alto, con il Brent sopra i 65 dollari e il WTI oltre i 60. Ma per gli Stati Uniti, la priorità è politica: dimostrare che il fronte occidentale resta unito e capace di coordinare le proprie mosse economiche.
La svolta inattesa della Cina
Se la stretta occidentale era prevedibile, la mossa cinese ha colto tutti di sorpresa. Per due anni, la Cina ha rappresentato per la Russia una valvola di sfogo economica e diplomatica: un cliente costante per il petrolio e il gas, un partner silenzioso nei pagamenti alternativi allo SWIFT, un alleato strategico nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ora però la situazione cambia. Secondo Reuters, le compagnie petrolifere statali cinesi hanno ricevuto indicazioni informali di sospendere gli acquisti di greggio russo trasportato via mare, almeno fino a chiarimenti sulle sanzioni americane. L’obiettivo non è politico, ma pragmatico: evitare che le aziende finiscano nella black list del Tesoro Usa, con conseguenze devastanti per il loro accesso ai mercati finanziari internazionali.
Il blocco riguarda tra i 250.000 e i 500.000 barili al giorno, circa un terzo delle importazioni marittime di petrolio russo verso la Cina. Le forniture via gasdotto – come la rotta “Power of Siberia”, che collega direttamente la Siberia orientale alle province cinesi del nord-est – continuano, ma il segnale è inequivocabile: Pechino non intende sfidare apertamente Washington. Dietro la decisione però, c’è anche un calcolo geopolitico più ampio: negli ultimi mesi, la Cina ha cercato di riavvicinarsi all’Unione europea, presentandosi come potenza “responsabile” in grado di stabilizzare i mercati globali. Un sostegno troppo visibile a Mosca rischierebbe di isolare Pechino proprio nel momento in cui il rallentamento della sua economia richiede stabilità e accesso ai capitali occidentali.
Anche l’India guarda all’Occidente
In parallelo, anche l’India — che dal 2022 è diventata il principale acquirente di greggio russo a basso costo — sta riducendo le importazioni. Le grandi raffinerie di New Delhi, come Indian Oil Corporation e Bharat Petroleum, hanno ricevuto indicazioni di diversificare le forniture e attenersi alle nuove regole americane sui pagamenti. Per mesi, l’India ha sfruttato il vuoto lasciato dall’Europa, importando petrolio russo a prezzi scontati e rivendendolo come carburante raffinato anche a paesi occidentali.
Ora questo canale rischia di chiudersi.
Secondo le stime di analisti energetici consultati da Reuters, il combinato disposto delle mosse di Cina e India potrebbe tagliare del 15-20% le esportazioni russe entro fine anno.
Per un paese che dipende per oltre il 40% del proprio bilancio dalle entrate energetiche, si tratta di un colpo potenzialmente destabilizzante.
Mosca, ovviamente, non resta a guardare. Il Cremlino sta tentando di costruire nuovi corridoi commerciali verso Iran, Corea del Nord, Turchia e Africa subsahariana, ma le prospettive restano incerte. Molti di questi mercati sono piccoli, instabili o già saturi. Inoltre, le restrizioni sulle assicurazioni e sul trasporto marittimo rendono difficile anche l’export alternativo: le compagnie europee e britanniche, che garantiscono circa il 90% della flotta mondiale, non possono più coprire le petroliere che trasportano greggio russo. La cosiddetta shadow fleet — una flotta parallela di navi battenti bandiere di comodo e spesso prive di assicurazione — è sempre più sotto osservazione. Le difficoltà derivanti da questa ondata sanzionatoria si riflettono già sui conti pubblici: secondo il Moscow Times, le entrate petrolifere russe nel terzo trimestre del 2025 sono calate del 12% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nonostante i prezzi del greggio siano in crescita.
Per l’Unione europea invece, la sfida resta duplice: mantenere la pressione su Mosca e, allo stesso tempo, evitare contraccolpi interni. La transizione energetica, accelerata dalla guerra, ha già ridotto la dipendenza dal gas russo dal 40% al 7% in due anni.
Ma la sostituzione completa richiede infrastrutture, nuovi accordi e stabilità dei prezzi. Il ministro ucraino degli Esteri Andrii Sybiha ha ringraziato Bruxelles per “la coerenza e la forza” mostrata con le nuove misure. “Le sanzioni funzionano,” ha scritto sui social. “Limitano la capacità della Russia di continuare la guerra e avvicinano la pace.”
Dalle istituzioni europee il messaggio è unanime: non ci saranno concessioni: “Non si tratta solo di sostenere l’Ucraina,” ha detto la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, “riguarda la nostra sicurezza collettiva.”
Una nuova geografia energetica
Sul piano globale, questa nuova fase segna una ricomposizione dei flussi energetici mondiali. Con Russia, Cina e India in riposizionamento infatti, lo spazio lasciato libero sarà occupato da produttori mediorientali e africani. L’Opec+ osserva con attenzione: il rischio è che un aumento improvviso dei prezzi del petrolio provochi tensioni economiche diffuse, soprattutto nei paesi emergenti. La guerra in Ucrai infatti, se era iniziata come un conflitto territoriale, si è tramutata in un laboratorio geopolitico dell’economia globale. Ogni sanzione modifica gli equilibri tra mercati, valute e alleanze, creando nuovi ordini geopolitici.
E se il Cremlino ha finora resistito grazie a una combinazione di autarchia, esportazioni parallele e sostegno asiatico, oggi anche quella rete di sicurezza comincia a cedere.
Questo, fermo restando che le nuove sanzioni non è detto che riescano a modificare – per lo meno nell’immediato – la traiettoria della guerra. Ma l’effetto politico è evidente: l’asse transatlantico ritrova coesione, un nuovo avvicinamento tra Usa e Bruxelles, nuovi accordi Usa e Cina, un avvicinamento dell’India al mercato occidentale, mentre la Russia perde terreno guadagnando isolamento, anche sul fronte diplomatico. La Cina e l’India, pur senza schierarsi apertamente, preferiscono ora evitare di restare intrappolate tra Mosca e Washington. Cosa che conviene loro, specialmente in termini economici. È un varco da non sottovalutare: un’occasione concreta per ridurre la dipendenza energetica da Mosca e riorientarsi verso nuovi equilibri e mercati.
L’economia russa dunque resta operativa, ma sempre più vincolata a un modello di autarchia controllata. Le esportazioni si fanno complesse, i margini finanziari si assottigliano, e la dipendenza dall’intervento statale cresce. La guerra in Ucraina continua, ma il suo centro di gravità si è spostato: oggi si gioca soprattutto nell’economia globale, dove il vantaggio competitivo di Mosca appare in progressiva – e neanche troppo lenta – erosione.
Resta da capire fino a che punto e quanto Putin sarà disposto a negoziare, ora che è la Russia a trovarsi in posizione difensiva.







