L’eccidio di Portella della Ginestra

Primo Maggio 1947. La Repubblica Italiana sta prendendo progressivamente forma e il governo è affidato alla larga coalizione antifascista formata da democristiani (DC), socialisti (PSIUP), comunisti (PCI), liberali (PLI) e repubblicani (PRI). 

Mentre in tutto il Paese si celebra la Festa dei Lavoratori, a pochi chilometri da Palermo 14 persone (di cui 3 bambini) vengono massacrate a colpi di mitra da una banda di criminali. Gli assassini protagonisti dell’eccidio sono vicini agli ambienti del latifondo siciliano e del MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia), organismo politico guidato da grandi proprietari terrieri.

I fatti

In quella mattina del ’47 circa duemila contadini si ritrovano nei pressi del comune di Piana degli Albanesi, per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo (l’alleanza tra comunisti e socialisti) alle elezioni regionali.

La festa per il successo elettorale è accompagnata da una manifestazione pacifica contro gli agrari, che in Sicilia si trovano a capo di una marcescente piramide sociale. Una piramide costruita sulle spalle dei lavoratori che sembra destinata a crollare sotto i colpi dalla Costituzione, ma che in molte zone del Mezzogiorno resta saldamente in piedi.

A Portella della Ginestra, lo strumento armato dei latifondisti è Salvatore Giuliano, anticomunista proveniente da una famiglia benestante, già protagonista di diversi episodi di guerriglia contro le forze dell’ordine in Sicilia tra il 1943 e il 1946.

È lui che, insieme ad altri criminali, scarica raffiche di mitra e lanciagranate sulla folla contadina radunata a festeggiare il Primo Maggio. Ma è solo una pedina nella mani degli agrari.

Con lo scopo di scongiurare una radicalizzazione delle lotte contadine, a Portella della Ginestra le forze reazionarie sfruttarono proprio il sentimento antisocialista del bandito per ottenere un risultato tanto sanguinario quanto immediato.

Il quadro politico

Nelle settimane successive al massacro ci furono numerosi episodi di violenza (dei veri e propri attentati con mitra e bombe a mano) contro le sedi del Partito Comunista e la risposta delle forze dell’ordine non fu adeguata, mettendo a nudo tutti i limiti dell’esecutivo nella gestione dello scontro sociale. Uno scontro che vedeva duramente colpita la classe lavoratrice. A seguito di quegli episodi di violenza ci fu un altro morto oltre a decine di feriti colpiti a Monreale, Cinisi, Borgetto, Terrasini, Carini, San Giuseppe Jato e San Cipirello.

In questo desolante contesto il PCI prese la decisione di uscire dal governo di unità antifascista. Un governo che non si sarebbe mai più ricomposto.

La mancata tenuta della coalizione ebbe conseguenze nefaste soprattutto per chi, come i contadini del Mezzogiorno, avevano estremo bisogno di una classe politica compatta nell’affrontare la questione sociale del lavoro.

Una lunga scia di sangue

Portella della Ginestra fu la prima strage di lavoratori nella storia della Repubblica. Diede inizio ad una tragica sequenza di episodi violenti ai danni di contadini e operai.

Guardando i numeri dei lavoratori uccisi o feriti durante scioperi e manifestazioni tra il 1947 e il 1950 si impallidisce: 46 morti e oltre 3.000 feriti.

L’eccidio del ’47 fu anche la prima avvisaglia del fallimento del progetto degasperiano di “nazionalizzazione armonica”, che intendeva conciliare le radici cristiane, l’ispirazione risorgimentale e la questione sociale nel mondo del lavoro.

Un fallimento che, malgrado la progressiva crescita economica e civile del Paese, esasperò la tensione sociale a danno di tanti lavoratori, contribuendo a generare sia i mostri del terrorismo che quelli della violenza di stato.

Per questo è vitale ricordare l’anniversario di Portella della Ginestra.

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