Milano, Nazra Palestine Short Film Festival: cinema, resistenza e sguardi sulla Palestina

Si è conclusa la tappa Milanese di apertura del Nazra Palestine Short Film Festival, il festival itinerante che dal 2017 porta nelle città italiane le storie e gli sguardi dei palestinesi. Un progetto “nato in cucina”, con pochi volontari e tanto entusiasmo, che oggi coinvolge una rete indipendente di artisti, attivisti e operatori culturali, con l’obiettivo di moltiplicare le prospettive su ciò che accade nei territori palestinesi.

Nazra in arabo significa sguardo”, uno sguardo che non si limita a raccontare l’occupazione israeliana, ma che mette in luce la ricchezza storica, culturale e artistica di un popolo che resiste e crea nonostante tutto. Il festival vuole dare voce diretta a registi e autrici palestinesi, garantendo loro la possibilità di raccontarsi senza filtri e di far emergere storie di resistenza quotidiana da cui tutti noi possiamo imparare.

La prima edizione milanese si è articolata in quattro giornate fitte di proiezioni, dibattiti e workshop, con momenti dedicati alle scuole e alle accademie di cinema, come l’Accademia Mohole e la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti. Non sono mancati gli appuntamenti politici: un corteo promosso dalle comunità palestinesi e dal Global Movement to Gaza Italia ha sostenuto la resistenza palestinese, mentre al laboratorio occupato Kashavit in Ortica è stato presentato il report di Amnesty International sulla guerra a Gaza, rendendo evidente la connessione tra arte e impegno civile.

Franca Bastianello, fondatrice del festival, racconta la genesi di Nazra come un’operazione di amore e resistenza: dopo anni di viaggi in Palestina e di contatti con autori e comunità locali, ha capito che le storie dei palestinesi non trovavano diffusione adeguata in Italia. Così, con poche risorse ma grande determinazione, ha creato un festival itinerante che non segue le logiche del mercato, autofinanziato e basato sul volontariato. “Abbiamo cercato di portare la Palstina nelle case delle persone, se non nelle case, nei cinema, nei circoli”, sottolinea, “creando una rete di pubblico e di attivisti che cresce ogni anno”.

Anche i premi stessi sono simboli di memoria e speranza. Realizzati da Gerry Bogani ed Elena Bellini, sono piccole barchette di carta nei colori della bandiera palestinese, che navigano davanti a uno specchio — metafora di memoria, verità e protezione — e incorniciate da legno recuperato, a simboleggiare resistenza e libertà. I film in concorso non sono solo testimonianze, ma strumenti di resistenza culturale e politica. Il Premio Miglior Documentario è stato assegnato a Rehab Nazzal per il film Vibration from Gaza, che racconta Gaza come laboratorio di armi, con particolare attenzione all’impatto delle armi sonore sui bambini (le Sonic Bomb). La regista ha lavorato con oltre cinquanta bambini della Società Atfaluna, osservando come le vibrazioni dei bombardamenti penetrino nel corpo e nella mente dei più piccoli. “Non è un film sulle vittime”, spiega, “ma sulla resistenza e sulla resilienza dei bambini”.

Il Premio Experimental Short Movie è stato assegnato a The Flowers Stand Silently Witnessing di Deo Panagopoulos, un film che recupera la memoria palestinese sotto il mandato britannico attraverso l’uso di un archivio straordinario, con un lavoro di digitalizzazione dei documenti che raccontano soprattutto la flora selvatica. Il premio è stato ritirato da Tadea Camini, che ha sottolineato come molti registi, soprattutto provenienti dalla Striscia di Gaza e dalla West Bank, non abbiano potuto partecipare al festival a causa dei visti negati, ostacolando la possibilità di far arrivare le loro opere in Italia. “Per Gaza e per i palestinesi, non esistono diritti umani e corridoi umanitari”, ha ricordato, evidenziando la difficoltà quotidiana nel poter muoversi o semplicemente far conoscere il proprio lavoro.

Il Best Fiction Short Movie è stato assegnato a Sogail Dahbal per Khaked adn Nema, un film che esplora la connessione con la natura e la terra strappata dalle colonie, equilibrando memoria, isola e montagna. Girato in un villaggio beduino demolito più di dieci volte e ricostruito come atto di resistenza, il film mostra la gentilezza, l’accoglienza e la resilienza della popolazione locale, incarnando la volontà dei palestinesi di rimanere sulla propria terra e di mantenere viva la propria storia. Come sottolinea il regista: “La storia del nostro popolo non è appena iniziata, non finirà domani; il film è una finestra sulla Palestina, ma la vera resistenza continua sul terreno”.

Il Nazra Festival non è solo una competizione, ma un atto politico e poetico, che mette in scena il cinema come strumento di memoria, testimonianza e resistenza culturale. Tutto ciò che il festival propone – i film, gli incontri, le proiezioni – mostra la forza di chi resiste quotidianamente, e ricorda che la storia palestinese è presente, urgente e reale, fatta di villaggi ricostruiti, bambini che giocano e vivono sotto assedio, comunità che lottano per restare.

Come ricordano gli organizzatori: “…il cinema ci mostra cos’è la resistenza e la volontà di rimanere sul terreno. Tutto ciò che facciamo, tutto ciò che cerchiamo di fare, è per i palestinesi. Continueremo a farlo”. La sesta edizione del Nazra Festival celebra così il cinema come atto di testimonianza universale, in cui la memoria, la resistenza e la cultura palestinese si incontrano e si diffondono, dando voce a storie che il mondo spesso ignora e ricordando che la resistenza non è solo un tema da raccontare: è una realtà che continua ogni giorno.

In un contesto in cui la cultura palestinese viene spesso ridotta a notizie di cronaca e conflitto, Nazra si propone come laboratorio politico e artistico, capace di trasmettere emozioni, storia e memoria attraverso il cinema. È un festival che non si limita a intrattenere: è un gesto di resistenza, un invito a guardare, ascoltare e comprendere, per costruire una solidarietà attiva e consapevole.

Il festival non è solo un evento culturale, ma un atto politico e morale: la strage, la distruzione delle case, la cancellazione dei luoghi e dei ricordi sono realtà che il mondo non può ignorare, eppure, come sottolineano gli organizzatori, la guerra non finisce con il ritorno simbolico alle tombe o alle case distrutte: il futuro rimane incerto, le città da ricostruire, le vite da proteggere.

Le iniziative, dai cortei alle richieste di corridoi umanitari, mostrano che la solidarietà è un’azione concreta: aprire vie di salvezza per la popolazione civile di Gaza è un dovere morale di tutti, eppure spesso negato, anche da governi e comunità internazionali che potrebbero fare di più. “Continueremo a fare ciò che possiamo, a tornare su quella Terra, a coltivarla simbolicamente e concretamente”, aggiungono, ricordando che il festival stesso è parte di questa azione: diffondere cultura, storie e resistenza, un’opera alla volta, uno spettatore alla volta.

Il festival non si limita a raccontare: si schiera, testimonia, resiste. E chi lo segue, chi lo sostiene, diventa parte di questo sguardo che attraversa confini, lingue e frontiere, portando al mondo un mosaico complesso, doloroso e luminoso della Palestina contemporanea.

La sesta edizione celebra Milano come prima tappa, ma il festival continuerà il suo tour in oltre 45 città italiane nei prossimi giorni, portando cinema, memoria e resistenza palestinese in tutto il Paese. In Ogni proiezione, ogni incontro con i registi palestinesi presenti diventa occasione di riflessione e azione. Ogni città, ogni spettatore, ogni comunità che accoglie questo sguardo contribuisce a diffondere la memoria, la forza e la resistenza palestinese, facendo del cinema uno strumento politico, emotivo e universale.

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