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La domanda essenziale che anima questo articolo e l’intervista che esso ospita è quella del rapporto che intercorre tra editoria e femminismo oggi – ovvero, per farla semplice, se le donne, nel mondo dell’editoria, siano in grado di pubblicare liberamente e se abbiano, oggi, delle stanze tutte per sé. Questa domanda è stata rivolta a una donna la cui vita si muove sul filo intrecciato di questa questione, essendo poeta, socia di una libreria (la Libreria Tuba) e curatrice di una collana editoriale (“Mosche d’oro” per la Giulio Perrone Editore), ed essendo visceralmente femminista: Viola Lo Moro. Tramite Viola, e tramite il suo punto di vista privilegiato sul panorama letterario e femminista, verranno avvicinati i problemi, le possibilità e le aperture dell’editoria – soprattutto indipendente – italiana; e si cercherà di restituire un mondo che vive e pulsa del tentativo, mai realmente concluso, di accogliere e dare sostegno a sempre più differenze, e di dissotterrare sempre più voci.
In quanto poeta, ideatrice di un festival letterario femminista (InQuiete), socia di una libreria femminista e curatrice di una collana editoriale, sarai familiare con il panorama editoriale italiano, soprattutto indipendente. Vorrei sapere se, secondo te, il genere continua a influenzare le scelte dell’editoria italiana – facendo ovviamente le dovute distinzioni tra editoria indipendente e non –, ovvero le valutazioni, i processi decisionali, di pubblicazione e di collocazione, la qualità e la quantità di attenzione dedicata alle scrittrici?
Io credo che la discriminazione che prende le mosse dalla differenza sessuale e di genere sia ancora un dato fondante della nostra società, e l’editoria è una delle organizzazioni che sono all’interno della nostra società; quindi certamente, finché c’è una base di un certo tipo, tutto quello che ne deriva a livello di organizzazione umana, qualunque essa sia, ne è influenzato. Credo che tuttavia l’editoria in questi ultimi anni – per quello che posso vedere io da un punto di vista particolare, il punto di vista cioè di una libraia di una libreria femminista e lgbt, che ospita case editrici particolari e clienti che sono tendenzialmente persone che hanno idea di dove stanno – si stia sempre più rendendo conto di un dato oggettivo, e cioè che la maggior parte dei lettori sono in realtà lettrici; e si stia rendendo conto, come secondo dato, che il problema grosso in generale è il fatto che lettori e lettrici comunque sono sempre molto pochi, e che però, e questo è il terzo dato, accade sempre di più che i lettori si avvicinino a libri scritti da autrici con meno pregiudizio di prima, e quindi con la possibilità già da prima di pensare che, se compri un libro scritto da una donna, non necessariamente quel libro lì dovrebbe parlare solo alle donne. Perché poi la letteratura, al fondo, parla a uomini e a donne in modo diverso, ma comunque non esiste la letteratura di genere femminile e questa è una cosa che noi da tanti anni combattiamo, perché siamo proprio contro gli scaffali rosa. Le case editrici indipendenti, poi, trovo siano particolarmente interessanti, ma anche i grandi gruppi hanno la capacità e la possibilità di portarci autrici molto interessanti. Le case editrici più piccole dalla loro hanno quello sguardo molto interessante che è uno sguardo di sperimentazione, di andare a vedere dove e cosa si può provare. C’è un tema molto grosso, del resto, che rimane, e che è il fatto che esistono tantissimi libri di autrici non pubblicati, sommersi e misconosciuti dalla storia.
A partire dalla tua esperienza sia come autrice che come curatrice di una collana, diresti che l’editoria italiana sta facendo dei passi avanti – a livello di consapevolezza – nei confronti di una letteratura femminile che non sia fatta solo di romance, letteratura erotica e memoir?
Ho incontrato la Giulio Perrone Editore – ma potrei nominare anche altre case editrici che hanno questa curiosità – e questa in particolare è una casa editrice che ha uno sguardo editoriale tale per cui è interessata veramente a ripubblicare delle autrici, a far conoscere delle storie di donne, a pubblicare titoli di autrici che abbiano una qualità letteraria alta e ripubblicare storie di donne che non si conoscono o che si conoscevano poco. E questo un po’ è “Mosche d’oro”. La Giulio Perrone ha poi una curiosità verso la poesia, cosa affatto scontata nell’editoria italiana; per questo con loro mi sono trovata bene col primo libro e mi troverò sicuramente bene col prossimo. Io non credo però che non esista differenza tra la scrittura di autrici e la scrittura di autori, esistono delle differenze eppure queste non hanno a che fare col fatto che quelle differenze parlino soltanto a poche o a pochi; ma queste differenze hanno a che fare con questioni tematiche, per esempio le donne hanno scritto più diaristica e più memoir, hanno scritto di un modo di esperienza legata al corpo, al vissuto del corpo. E queste differenze hanno poi invece anche la capacità di essere esperienze universali, per cui una scrittrice può scrivere un romanzo dal punto di vista di un io narrante maschile ed essere credibile, così come autori hanno scritto libri dal punto di vista di un io narrante femminile.
Invece, più nello specifico, si stanno facendo passi avanti secondo te nei confronti della letteratura femminista, ovvero questa sta avendo più ricezione adesso, anche a livello di nuove pubblicazioni di pensieri femministi?
Per fortuna sì, anche se c’è un grandissimo vuoto teorico di libri pubblicati e introvabili soprattutto nella saggistica femminista e nella saggistica femminista che non sia angloamericana, che non provenga cioè dall’accademia angloamericana. È molto difficile ancora adesso trovare testi di femministe italiane, ed è molto difficile trovare testi che provengano da paesi altri che non siano il mondo anglosassone, come testi spagnoli – ultimamente però stanno uscendo cose molto interessanti dalla Catalogna e dalla Spagna in generale. C’è più attenzione sicuramente, sono fiorite delle case editrici piccole e indipendenti che hanno una scelta di qualità e puntano a questo, alla pubblicazione di testi femministi, il che mi sembra una cosa importante. C’è Fandango che ci lavora da tanto tempo con la collana di saggistica; c’è la stessa Giulio Perrone che ha pubblicata Transito di Aixa De La Cruz e Cagna di Louise Chennevière, che sono due testi importanti; c’è Tamu che ha ripubblicato bell hooks; c’è Tlon che sta pubblicando testi femministi in una versione di diffusione più popolare e pop; c’è People che ha pubblicato alcuni testi, e ci sono Meltemi e Nero. Questo solo per nominarne alcune. Ma c’è la stessa Einaudi, pure, che ha tirato fuori un paio di saggi molto interessanti nella collana delle “Vele”.
Il tuo impegno, sia culturale che politico, è radicato da sempre sul territorio e sulla pratica concreta del relazionarsi e aiutarsi tra donne. Come si riversa questo impegno nella tua scrittura in versi?
Da una parte, io non faccio la femminista né faccio la lesbica, ma lo sono in modo costitutivo, e questo è uno sguardo che non si può staccare e non è mai scindibile da me e da quello che faccio nella vita quotidiana. Io porto il mio corpo e questo mio sentire quando faccio la spesa, quando cammino, quando lavoro con le persone; e quindi ovviamente questo portato entra anche sempre nella scrittura, non può che entrarci. D’altra parte, nella scorsa raccolta (ndrCuore Allegro, Giulio Perrone Editore) probabilmente c’erano momenti in cui il verso lirico aveva più a che fare con delle esperienze di vita intima e di rapporto con gli oggetti, con la natura, con l’amore, con le relazioni, e dovevo in qualche modo liberarmi anche dalla pressione di dover scrivere un libro politico. Questo anche perché non sentivo il bisogno di aggiungere qualcosa da questo punto di vista, e poi perché al tempo della scorsa raccolta la poesia sociale non era una poesia che mi riusciva scrivere. Vedremo cosa riserverà il futuro.
Ci sono consigli che ti senti di dare a giovani aspiranti lavoratrici nel mondo dell’editoria e a scrittrici e autrici, per portare avanti l’idea di una letteratura realmente universale e allo stesso tempo attenta e rappresentativa delle differenze?
Per tutto quello che riguarda le giovani aspiranti lavoratrici nella fucina editoriale non mi sento di poter dare molti consigli, perché in fondo non è il mio mestiere, non lo è mai stato; l’unica cosa che direi è di cercare di avere un’alta formazione, non accettare mai o il meno possibile lavori in cui ci si sente sottopagate o non pagate, perché questo costituisce un precedente sempre. Meglio avere la possibilità di stare dentro delle cose piccole e curate, piuttosto che essere sfruttate. Rispetto a scrittrici e autrici penso che una scrittura intelligente abbia sempre a che fare col mondo, anche quando è una scrittura assolutamente intima e intimista; per me non si può ragionare sullo scrivere un libro che a priori possa funzionare perché in grado di intercettare tutte le cose che ci stanno intorno, questo sarebbe sbagliato. Però penso che, come autrici, abbiamo anche la responsabilità di stare dentro le contraddizioni e quindi di provare il più possibile ad andare a fondo anche alle ossessioni, alle contraddizioni e a tutto quello che la società ci svela.
Puoi dirci qualcosa sulla ricezione delle attività culturali femministe di cui fai parte, nello specifico la libreria Tuba e il festival InQuiete? Dal momento che prima parlavi di un pubblico che sa già dove si trova, vorrei sapere quanto si stia andando ad aprire questo pubblico, e da chi è composto, quanto è ampio e quanto è diversificato.
Posso parlare solamente per Tuba perché InQuiete non lo curo più da tre anni, ho fatto solo le prime tre edizioni ed era sicuramente un pubblico molto vasto, molto interessante e trasversale. Tuba ormai ha 15 anni, ha visto tanti diversi cambiamenti sia del quartiere, sia della città, sia del pubblico, sia dell’attenzione verso il femminismo e i femminismi e i temi lgbt – e io direi che il pubblico, le nostre clienti e i nostri clienti si sentono a Tuba tendenzialmente parte di una comunità di persone che cerca di godersi il tempo libero e al tempo stesso di avere un’attenzione nei confronti della letteratura, della scrittura e della cultura. Io spero, e mi sembra, che sia un posto in cui le persone si sentono libere. Vedo che si avvicinano molte giovani, e mi auspicherei che Tuba continui ad essere anche un bar in cui le donne e le ragazze vengano da sole, si possano sentire bene e possano passare il loro tempo con altre persone. Trovo poi che ci sia sempre più interesse per le presentazioni, per gli incontri con le autrici, per l’incontrare noi. Ovviamente questi ultimi due anni sono stati molto strani, ma purtroppo questo non c’è bisogno di dirlo.
Come ultima domanda, vorrei chiederti se hai dei libri o delle letture specifiche da consigliare a un pubblico sia femminista che interessato alla letteratura e alla saggistica femminile.
Ci sarebbero una marea di testi, ma il primo che mi viene in mente – perché l’ho riletto recentemente – è Insegnare a trasgredire di bell hooks; consiglio poi, come romanzi di base, la tetralogia di Elena Ferrante e L’arte della gioia di Goliarda Sapienza. E infine consiglio Autobiografia di una rivoluzionaria di Angela Davis.