Perché leggere “Se questo è un uomo” di Primo Levi

Testimonianza autentica, autobiografica, di una delle pagine più nere e crudeli della storia dell’umanità, il romanzo “Se questo è un uomo” di Primo Levi ci racconta, in prima persona con lucida consapevolezza e quasi, in alcuni momenti, pacato distacco, la tragedia della Shoah, lo sterminio organizzato e perpetrato con determinazione e convinzione da parte di un gruppo di uomini verso i loro simili, colpevoli solo di appartenere a una diversa religione. Uno dei momenti più cupi e orribili della storia mondiale del ‘900.

L’autore racconta la sua esperienza nel campo di concentramento di Monowitz, uno dei campi situati vicino al più famoso campo di Auschwitz, dalla deportazione alla fine della sua prigionia, avvenuta con la liberazione e l’apertura del campo di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche.

Quello che trovarono nei campi è a tutti tristemente noto, ma sentirlo dalla voce di un sopravvissuto è diverso.

Primo Levi, catturato nel 1943, scrive questo romanzo, come dice lui stesso, per ricordare, per far sì che nessuno possa dire che tutto questo non sia mai avvenuto. Lo scrittore usa una forma di racconto simile alla cronaca, ci vuole descrivere nei minimi particolari quello che ha vissuto, difficile, sicuramente, ma Levi riesce a essere anche obiettivo, distaccato, non esprime rancore o disprezzo per i suoi carnefici, per la situazione assurda e incomprensibile che deve vivere, non esprime giudizi morali, ciò che è costretto a vedere, ciò che deve subire è troppo al di là di ogni possibile comprensione o spiegazione…Al di là del bene e del male.

In questo universo parallelo, dove tutto è possibile, Levi riscopre la lotta primordiale per la vita; dove niente ha più senso, tutto può avere un significato, ogni piccola cosa può aiutare a sopravvivere. Ecco allora la furbizia, i sotterfugi di coloro che non si rassegnano a lasciarsi morire, ma anche la riscoperta dei valori, l’importanza dell’amicizia, di un gesto caritatevole, di una parola, che aiutano a sentirsi vivi. L’importanza di ripetere ogni giorno i piccoli gesti, per non lasciarsi andare, non lasciarsi morire, come purtroppo molti faranno.

In tutto ciò, quello che colpisce subito Primo Levi, e quindi il lettore, è la professionalità, imperturbabilità, calma e impassibilità con cui gli ufficiali e i soldati nazisti portano a termine il loro compito ogni giorno, come se fosse il loro normale lavoro, così succedono le cose più terribili, le violenze inspiegabili, così viene ucciso un ragazzo che si attardava a salutare la sua fidanzata, con un colpo alla testa, come un normale svolgimento di un lavoro.

Il nostro scrittore riuscirà a tornare a casa, lui comprende che si è salvato, oltre che per una serie di fortunate coincidenze, perché è stato catturato tardi, perché, essendo un chimico, poteva lavorare in fabbrica ed era quindi utile ai Tedeschi, ma sa anche che non uscirà mai dal campo, perché il campo è in lui, nessuno di coloro che ha vissuto quella terribile esperienza riuscirà più a dimenticare.

Primo Levi morirà, probabilmente suicida, l’11 aprile 1987, tormentato, come possiamo immaginare, da terribili incubi e domande senza risposta: Perché tutto questo? Come è stato possibile? Follia? Se lo fu, perché nessuno si è ribellato? Perché tutti quei morti? Perché io sono riuscito a salvarmi e non gli altri? Quand’è che l’uomo ha smesso di essere uomo? Può l’umanità cadere così in basso? Domande che hanno scosso la coscienza di molte generazioni e continueranno a tormentare quelle future.

Per non dimenticare: “Considerate se questo è un uomo…”

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