Un racconto di (de)formazione sul femminile soffocato dal peso del mito della bellezza. Oltre Cenerentola, oltre il Grand-Guignol. Un capolavoro moderno
In una stagione in cui l’horror ha dominato le sale — forse perché la realtà stessa è diventata un film dell’orrore — arriva il più bello di tutti. Arriva The Ugly Stepsister (Den stygge stesøsteren, 2024), favola sanguinosa e lucidissima con cui la norvegese Emilie Blichfeldt rovescia Cenerentola e la trasforma in un’operazione di body horror femminista, grottesca e disperata. Un racconto feroce sul come la società – ieri come oggi – plasma il corpo femminile come strumento di riscatto e prigionia allo stesso tempo.
L’esordiente e talentuosa regista sposta il punto di vista sulle sorellastre, sulle “brutte”, quelle che la tradizione ha condannato al ruolo di cattive. Da qui nasce un racconto femminista e grottesco dove l’ossessione per la bellezza si traduce in autodistruzione: aghi negli occhi, nasi fratturati, amputazioni. Il body horror come strumento d’analisi, mezzo per dire che il desiderio di essere accettate, di piacere, di aderire a modelli irraggiungibili resta una forma di violenza antica e persistente, che è interiorizzata dal femminile fino alle viscere.
Ambientato in un’Europa vittoriana alternativa, il film segue Elvira (Lea Myren), il brutto anatroccolo disposto a tutto pur di diventare principessa. Schiacciata da una madre (Ane Dahl Torp) che vede nella bellezza l’unica salvezza dalla rovina, Elvira si sottopone a un’escalation di procedure sempre più atroci per essere scelta come moglie dal Principe Julian.
Il risultato non è solo estremamente gore: è un manifesto politico travestito da fiaba. “La bellezza è dolore”, recita il vecchio adagio, e qui quella frase prende corpo, sangue e senso. La bellezza è accompagnata da una follia collettiva che la distorce in malattia e sintomo culturale.
Il film alterna momenti di umorismo nero e visioni oniriche che sembrano uscite sa un soft porno anni 80 a una regia precisa, quasi chirurgica, che richiama per rigore e coraggio il miglior Lanthimos(quello della La Favorita e non del mediocre Bugonia adesso in sala).
È inevitabile, a questo punto, pensare al confronto con The Substance: stesso orrore della carne, stesso grido contro un patriarcato che detta forme e destini. Ma se il capolavoro di Coralie Fargeat si muove tra iperrealismo e parodia pop, The Ugly Stepsister sceglie la strada del mito distorto, del gotico nordico che scava nella colpa e nel desiderio di trasformazione. Nel finale, quando il corpo di Elvira diventa il luogo stesso della sua ribellione, la fiaba collassa su se stessa. E ciò che resta non è il sogno romantico di Cenerentola, ma un urlo muto contro la tirannia della bellezza e il sistema che la perpetua.
Nel 2025 la sensazione è che ogni cinematografia ha detto la sua nel genere. Solo l’Italia, come spesso accade, è rimasta indietro: un’eccezione, seppur parziale, è l’interessante ma innocuo film di Paolo Strippoli (La Valle dei Sorrisi) troppo poco una rivoluzione di genere.







