Il ruolo della tigre nell’ecosistema

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Sapevi che la tigre è il più grande felino vivente?

Fa parte del genere Panthera.

Ha un corpo muscoloso con potenti arti anteriori, la coda rappresenta circa la metà del corpo, mentre il pelo denso è caratterizzato da una colorazione tra l’arancione e il marrone.

Sono animali territoriali, solitari per la maggior parte dell’anno ad eccezione di un breve periodo per l’accoppiamento. Prediligono aree grandi e continue che possono variare da foreste pluviali, praterie a foreste di mangroveti, nelle quali è presente un’ampia base di prede: erbivori come cervi, wapiti e cinghiali e carnivori come i leopardi, orsi, coccodrilli e cani selvatici.

Ha una distribuzione storica che parte dalla Turchia dell’est, alle coste del mar del Giappone e Siberia fino al sud dell’Asia e delle Isole Indonesiane.

Ad oggi, la loro distribuzione si è ridotta del 93% a causa dell’aumento delle aree urbanizzate e della creazione di nuovi campi coltivabili. Il loro habitat è diminuito come il numero totale di tigri nel mondo, portandole da circa 100.000 (1900) a 3.890 attualmente. Questa riduzione non è riconducibile solamente alle cause sopra citate ma anche al bracconaggio e al traffico illegale per il commercio di pelli, artigli e denti.

Tutto questo ha portato la tigre ad essere inserita nella Red List, un database redatto dalla IUCN, come specie in pericolo critico.

Essendo stata diffusa in quasi tutta l’Asia, la tigre è entrata nel folklore e nella cultura di molti popoli del continente più vasto.

Per molto tempo, è stata vista dagli autoctoni come un animale sacro da ammirare e venerare. La Corea del Sud, per esempio, venerava la tigre come dio e riteneva che fosse uno spirito benigno che protegge gli uomini dai demoni.

In Cina, invece, era vista come dio dell’oltretomba e custode dei morti. Era usanza deporre statuette raffiguranti tigri nei mausolei dei nobili poiché si riteneva che la tigre vegliasse sul loro eterno riposo. inoltre, le strisce sulla sua fronte hanno ispirato la forma del kanji 王 che significa “Re”.

Nella cultura vietnamita, si crede che le tigri portino con sé gli spiriti degli antenati. Se una tigre uccideva un uomo significava che lo spirito trasportato era in collera con tale persona per qualcosa che gli era stato fatto nella vita passata. Per moltissimo tempo, il folklore locale proibiva l’uccisione delle tigri, anche quelle mangiatrici di uomini.

La caccia alla tigre, nel corso del XIX e del XX secolo, è diventata una vera e propria attività popolare tra i colonizzatori britannici dell’Asia, i Maharaja e gli aristocratici statunitensi. Questa caccia indiscriminata era “supportata” dal fatto che la tigre era considerata, causa credenze popolari, un animale estremamente pericoloso, delle volte un vero e proprio mostro, un predatore da uccidere per poter sopravvivere.

Gli ecologi hanno focalizzato la loro attenzione su come la perdita di predatori influenzi la struttura e la funzione dell’ecosistema in ecosistemi intatti, ma raramente hanno testato questi concetti ecologici nei paesaggi agricoli.

Uno studio condotto in Bhutan ha mostrato come la presenza delle tigre riduce il numero degli erbivori selvatici come i cinghiali e i cervi, abbassando la probabilità di subire perdite in ambito agricolo e, conseguentemente, c’è un aumento dei guadagni: circa 450 dollari in più all’anno nelle tasche di ogni famiglia per la vendita di prodotti vegetali.

Inoltre, predando specie carnivore come cani selvatici e leopardi in primis, possono portare profitti agli allevatori poiché, quando una tigre era presente nelle foreste che circondano i villaggi, leopardi e cani selvatici occupavano aree più vicine ai terreni coltivati ​​del villaggio, predando una maggiore abbondanza di erbivori selvatici e riducendo le perdite di bestiame di 2.4 animali per azienda, portando un risparmio di 1.120 dollari all’anno.

Il numero di turisti, che vanno sia in santuari o anche in escursioni per vedere questo animale, porta guadagni, intorno ai 750.000 dollari all’anno dalle entrate turistiche, sia agli enti nazionali che alle città limitrofe che ai parchi nazionali.

Come possiamo salvare questi bellissimi felini?

Le nuove politiche governative stanno portando alla nascita di progetti di conservazione che hanno lo scopo di monitorare il numero attuale della popolazione e di contrastare gli atti di bracconaggio presenti nelle zone di studio.

Queste iniziative sono  fatte in cooperazione con organizzazioni internazionali come la società zoologica di Londra, che sovvenziona la maggior parte delle spese per progetti, come quello del Khao Laem National Park e del Lazovsky Zapovednik National Park.

Lo scopo del primo è di comprendere l’attuale popolazione di tigri di Khao Laem e il grado di connettività con altre popolazioni di tigri all’interno della Thailandia occidentale, un passo importante per informare e facilitare il recupero su scala paesaggistica.

E lo fa tramite tre obiettivi: migliorare la conoscenza delle tigri delle prede e minacce nel parco e nelle aree adiacenti; aumentare le capacità di tutoraggio del personale per gestire e analizzare i dati per favorire una maggiore comprensione delle minacce e della connettività forestale e infine,  ridurre le minacce specifiche alle tigri.

Il progetto del Lazovsky National Park, invece, cerca di sviluppare un programma che integri la gestione antibracconaggio con il monitoraggio delle tigri.

L’utilizzo del software SMART, dei gruppi di risposta rapida e dell’iniziativa Forest Eyes lo vede impegnato nel rafforzare il monitoraggio spaziale e imporre la lotta al bracconaggio;

costruire metodi di conservazione e salute della fauna selvatica all’interno della Russia dell’Estremo Oriente, che rilevando le minacce date dalle malattie, formando studenti veterinari e contribuendo, con le giuste competenze, alla riabilitazione della tigre.

E’ fondamentale continuare con gli sforzi di sensibilizzazione e comunicazione del pubblico attraverso eventi nelle scuole locali che coltivano l’apprezzamento per le tigri e che sostengono la loro conservazione.

I grandi predatori come la tigre stanno diminuendo all’interno della loro area geografica.

Le giustificazioni, basate sul loro status iconico per la loro conservazione, non sono un argomento persuasivo per gli agricoltori rurali che vivono vicino all’habitat delle tigri e soffrono frequenti perdite di raccolti e bestiame dalla fauna selvatica.

Con lo sviluppo di studi come quello in Bhutan, si è scoperto che le aree con tigri hanno subito un’incidenza significativamente inferiore di perdite dei raccolti e del bestiame rispetto a quelle senza tigri. Anche le complesse interazioni tra tigri, carnivori di taglia media ed erbivori selvatici riducono potenzialmente le perdite di raccolto e bestiame.

È dunque necessario determinare i servizi ecologici dei predatori e sensibilizzare gli agricoltori, dissuadendo ad uccidere per rappresaglia e aumentando la loro conoscenza sul ruolo fondamentale che presentano negli ecosistemi in cui vivono, poiché la conservazione di una popolazione di predatori completa massimizza i benefici socio-economici per gli agro-pastori, oltre che mantenere l’ambiente invariato.

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