Torino: Brick for stone, il grande romanzo americano di Alessandro Barbero

Un titolo biblico per quello che la giornalista Daria Bignardi definisce un “grande romanzo americano”, la storia di un detective della CIA alle prese con la sua balena bianca: sventare l’attentato terroristico che cambierà la storia. È l’ultimo libro del medievista, esperto di storia militare e romanziere: il magister Alessandro Barbero. L’idea segue proprio la caduta delle torri, era il 2002: “La cosa più banale che si potesse immaginare,” afferma con umiltà il prof. E in effetti, un investigatore che subodora un attentato e mette insieme la sua “banda di idioti” per impedirlo, suona un po’ un cliché. Ma è solo una sensazione temporanea, frutto della convinzione stessa dell’autore, all’epoca affascinato da un’idea acerba, ma destinata a trasformarsi in circa vent’anni di storia.

Storia. Una parola che non può non accompagnarsi al nome dell’uomo che l’ha resa uno show per tutte le età. Eppure, a differenza dei suoi predecessori, questo non è un romanzo storico. L’11 settembre ha fatto la storia, certo, ma non è la storia a fare da cornice al romanzo. Semmai la Storia è un personaggio nascosto che precede, permea e trascende le storie—stavolta con la minuscola—dei vari Sonnenfeld, Kozlov, Debbie, Francy, Traci. Perché, lo dice Barbero, si tratta di un romanzo di personaggi, dove sono i loro pensieri, sentimenti, timori e speranze a giocare un ruolo cruciale nell’intreccio che è segnato fin dalla copertina. Ma il fato, sebbene immutabile, concede una trasfigurazione della realtà che le restituisce senso. Come fa la narrativa, “che non è uno specchio della vita, ma un modo per reinventarla”.

In questa metamorfosi, i vari personaggi sono le marionette di un solo puparo di cui emergono i “mugugni”, per usare l’espressione di Bignardi, nonché una vasta costellazione di “barberate, anche politicamente scorrette,” che è lecito leggere solo con la voce del professore… Tuttavia, non sono un fan della personologia prêt-à-porter, né tantomeno della patografia, secondo la quale sarebbe possibile ricostruire il carattere di un individuo a partire dalle sue opere. C’è dell’altro, un quid del processo creativo che resta perlopiù ignoto, sommerso dal sostrato cui “quel coglione di Jung”—citazione letterale dell’esperto di insulti Koselleck, uno degli antieroi di Brick—si riferiva come inconscio collettivo.

L’ignoto è croce e delizia della Storia e dell’investigazione di Harvey Sonnenfeld che, come ogni detective, non è altro che un uomo in cerca della Verità. Mentre la Storia personaggio—con la maiuscola—si fa beffe della Verità. Si nasconde in piena vista e si mostra solo attraverso ‘segni d’immortalità’ che, dall’alba dei tempi, sprofondano l’uomo nella disperante illusione di essere in control, per dirlo alla americana. La profezia, un tema centrale di Brick for stone, è una forma d’illusione: si intuisce qualcosa che, effettivamente, non c’è. E il Barbero romanziere ce lo fa capire abilmente, costellando l’opera di indizi che sono gioco di finzione e metafora dell’unica certezza che abbiamo: la storia si mostra ma non si fa prevedere. Proprio come l’Hit the toweers che il Sonnenfeld’s Freaks Show inseguirà fino alle estreme conseguenze…

Ma non voglio dire altro poiché, nonostante il finale sia un film già visto, Brick for stone è una storia avvincente, capace di intrattenere, ma anche di interrogare. Come dichiara lo stesso professor Barbero, il romanzo, nei vent’anni trascorsi tra la genesi e la pubblicazione, non è solo il tentativo di immaginare mondi possibili in un universo già determinato. È forse, ancora di più, una riflessione sulla fragilità umana. Una fragilità che si nasconde e si mostra proprio nel tentativo stesso di controllare la realtà: teatro d’immensa meraviglia e indicibile orrore.

Dalla consultazione degli oracoli a quella degli algoritmi, dalla magia alla tecnologia, dall’arte alla scienza: tutto serve ad alimentare la pia illusione di essere gli unici autori del proprio destino. Un destino Occidentale, dove l’altro è stato relegato sullo sfondo, nella sua incomprensibile diversità piena di odio, arretratezza, invidia e ogni male di questo mondo e di quell’altro. Finché, come accade a tutto ciò che viene rimosso con la forza, l’altro si ribella: il reale fa breccia e tutto ciò che consideravamo una solida realtà viene spazzato via. Dio sgretola la Torre e ci rammenta una lezione fondamentale: All That is Solid Melts into Air.

1 commento

  1. Eccellente per i contenuti che permettono anche a chi non ha ancora letto il libro di desiderare di farlo si evidenzia una grande passione e capacità di analisi che derivano dall’ottima preparazione e dal rispetto e la considerazione che Ivan dimostra per il grande scrittore.

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