Valentina Cariglia e Silloge silenziosa: squarciare le reti in libertà

Valentina Cariglia è autrice di Silloge silenziosa, un’opera sicuramente complessa da giudicare perché nasce in un momento che ancora non siamo riusciti a metabolizzare, soprattutto per chi, come lei,  vive anche il contesto pedagogico in maniera differente rispetto a prima della pandemia. Lei è la dimostrazione portante che dal Covid-19 non sono nati solo frutti maligni, perché Silloge silenziosa è il frutto di un lavoro nato durante la pandemia.

Questo lavoro contiene le riflessioni sul presente, le speranze per il futuro, i ricordi del passato, interni ed esterni; forse anche un’eventuale memoria di un passato che sembra lontanissimo, un passato fatto di abbracci, di contatto, soprattutto con un lavoro come il suo, a stretto contatto con gli studenti, fra essere umano ed essere umano.

Questo è il primo libro che ho pubblicato. Parlare di me non è semplice. Ho sempre parlato degli altri. Come insegnante ho sempre criticato i grandi autori della letteratura, non solo italiana, ma anche e soprattutto mondiale. Non è facile parlare di me, ma ci proverò. Silloge silenziosa è una raccolta che nasce in un momento difficilissimo. Da mamma, moglie, insegnante, donna, mi sono ritrovata tra le quattro mura di casa, come tutti: muri claustrofobici per chi, come me, è abituato alla socialità, a stare in contatto con i ragazzi, con la quale vivo, anche perché insegno da 10 anni. Per me l’insegnamento, il contatto e la socialità sono basilari. Scrivo da sempre, da quando ero piccola, praticamente dai banchi del liceo, però non avevo mai messo a frutto la scrittura, non avevo mai pensato alla pubblicazione delle mie poesie, perché non c’erano mai stati i presupposti e forse neanche la volontà di far leggere qualcosa di me. Tuttavia, questa è un’opera che racchiude un universo molto solitario. Da sempre sono una persona che, anche per necessità lavorative dei miei genitori, è rimasta molti anni con la nonna, nel suo universo di solitudine e introspezione. Ho sempre lavorato su me stessa. Ho deciso a 18 anni di iscrivermi alla facoltà di Lettere proprio perché volevo coronare quel sogno che avevo da bambina di scrivere, il mio romanzo o un libro di poesie. Però mi mancava il coraggio, e forse il coraggio me lo ha dato questo momento difficile. La cosa bella è che sono nate queste poesie nell’arco di una settimana. L’introspezione in me stessa è il punto chiave perché molte liriche descrivono proprio questo bisogno di varco, di salvezza che soltanto la poesia può dare. Gli autori che amo particolarmente probabilmente si ritrovano in Silloge silenziosa e questa è anche una raccolta per ringraziare loro: Luzi, Caproni, Montale, Ungaretti, Quasimodo, sono loro i capisaldi dell’opera; c’è anche un po’ del mio amato Parini, un autore che non tutti amano e apprezzano, eppure è proprio quell’impegno etico capace di trasformare la poesia in qualcosa di utile che infonde qualcosa di pariniano all’opera. È un omaggio. I temi sono quelli, trovare la salvezza in un mondo in cui la bellezza è venuta a mancare; soprattutto in un mondo in cui, attraverso la pandemia, come abbiamo ben visto, come diceva Pasolini e come ho scritto in una dedica a qualcuno “l’Italia del pane, predomina oggi, sull’Italia della bellezza e della cultura” e quindi, mai come oggi, ho voluto far sentire questa voce, finalmente, dopo anni e anni di scrittura. È stata Silloge silenziosa a cercare me e non io lei.

Lei si è dedicata da sempre alla scrittura e poi, ironia del fato, il libro nasce in una settimana.

Infatti! È pazzesco! Anche se ciò non toglie che c’è un lavorio enorme dietro, un lavoro non indifferente.

Vorrei partire dalla fine, da una fine che lei ha chiamato “provvisoria”; “Domani verrà spontaneo squarciare le reti in libertà, fuggire in mare aperto, ma questa è la musica ora”. Gli interni sono il simbolo di quello che stavamo e stiamo vivendo adesso, la memoria è quel tentativo di evadere da quegli interni; a quel punto ci si potrebbe aspettare la liberazione e invece non è così. Non c’è una liberazione vera e propria, c’è la precarietà dell’umana gente. A questo punto ci si chiede se in questa conclusione provvisoria, il verso si riferisca a una speranza, a una visione utopica…

Questa seconda strofa di “Conclusione provvisoria” inizia con un se ipotetico, e gli ultimi due versi invece iniziano con un ma avversativo e allora se noi volessimo invertire questa parti risulterebbe chiaro: “La musica ora è questa”, è un’acedia, un canto triste, per una Grecia lontana che io ho voluto inneggiare con la parola acedia; ma la vita, purtroppo oggi, non so se sia pronta a darci un risveglio che non sia triste, perché fondamentalmente, dentro Silloge la poesia non può concludere, quindi io pongo un’ipotesi: se oggi la vita è un risveglio all’interno di una stiva inabissata – colgo l’occasione per dire che questo è un omaggio a Michele Mari, La stiva e l’abisso, un libro che profondamente racchiude un universo macabro e oscuro – solo forse domani sarà spontaneo, una spontaneità e una libertà che però non è per tutti. Non tutti riescono a trovare quel varco attraverso la rete, fuggire in libertà: possiamo fuggire solo se lo vogliamo.

Leggendo alcune poesie in particolare, ci si sofferma su “Prigione domestica”, “Pentimento”, “Rimpianti”, “Incertezze”, c’è una sorta di tema ricorrente che si avverte da lettore. Si nota come se quella “Prigione domestica” che ha voluto definire così nella sua poesia, avesse tirato fuori anche il peggio di noi; forse è per quello che alla fine ci si aspettava sarebbe uscito il meglio?

Lei ha trovato il meglio in queste poesie? Lei cosa ha visto? Cosa ha letto? All’interno di queste liriche, vorrei capire, secondo lei c’è una possibilità di salvezza o no? C’è la possibilità di fuggire da questa prigione, o no?

Io non l’ho trovata.

Ecco appunto.

Forse l’unico caso in cui si può trovare una via salvifica è nel passato, ma il passato è fondamentalmente illusione di fuga dal presente. Quindi mi chiedo se quelle sensazioni che l’hanno portata a scrivere, in quella fatidica settimana, le poesie siano arrivate dopo un cammino di anni…

No, decisamente si tratta di anni. C’è una poesia in particolare che recita un po’ il mio passato. È proprio da quella infanzia, da quel primordio della mia crescita poetica che nasce questa visione della vita, possiamo dire pessimistica, ma non in senso assoluto o totalizzante, perché io, come vede, inserisco sempre la possibilità di un varco. Ma si tratta sempre di un varco che va ancora cercato e io non l’ho ancora trovato.

Non trova che in realtà, quello che lei ha fatto è il frutto del migliore ottimismo? Dopotutto lei ha deciso di descrivere tutto ciò che ha provato nella sua vita: rimpianto, dolore, pentimento, all’interno di una raccolta di poesia. Quindi forse involontariamente ha trovato la sua via salvifica.

Per me la poesia è la via salvifica, nel senso leopardiano del termine, e anche montaliano, perché questi sono i due poeti che più di tutti auspicano a un’idea di poesia come strumento di salvezza, ma non per tutti però. La salvezza non è per tutti, ripeto, è per coloro che veramente riescono a farsi carico di quelli che sono tutti gli aspetti più negativi della vita umana. Basti pensare al titolo Silloge silenziosa, perché silenziosa? Perché le mie poesie sono liriche maturate nel silenzio. Quindi possiamo dire che Silloge, è cresciuta e maturata silenziosamente in questi anni…

Eppure lei ha voluto mostrare più e più volte che la sua vita è legata all’insegnamento: c’è forse una via salvifica anche nella via pedagogica?

Assolutamente. Io dico sempre ai miei ragazzi che non sono teste da riempire, anche da un punto di vista didattico, ho cercato di renderli i veri partecipi dell’insegnamento e dell’apprendimento. Non sono mai stata, neanche all’inizio della pandemia, un’insegnante che sta “alla cattedra”. Per me girare fra i banchi, far parlare loro, è sempre stato il punto chiave del mio insegnamento. Quindi data la libertà che per fortuna il Ministero ci concede, ho sempre utilizzato questa libertà declinandola nelle attività più disparate. Sono riuscita a far amare loro anche la lettura, attraverso gli incontri non solo di scrittura creativa ma anche di lettura creativa, perché bisogna imparare ad essere dei lettori, e se non lo impariamo tra i banchi, non potremmo mai esserlo.

Dottoressa Cariglia, io credo che la sua prossima raccolta di poesie dovrà chiamarsi Un’inguaribile ottimista. Ha appena dimostrato che i suoi rimpianti, le sue incertezze, i suoi pentimenti, sono stati utilizzati nella maniera forse migliore rispetto a quelli che scelgono di reprimerli.

Assolutamente sì. Sono d’accordo perché proprio in questi giorni, da quando molta gente ha iniziato a leggere le mie poesie, sto facendo dell’autoanalisi. Ho gettato dentro questa Silloge tutto quel male esistenziale che mi ha portato a colmare queste pagine anche di pessimismo, per trovare finalmente quella luce…

Dopotutto, semplificando, se a una raccolta di poesie dovessimo togliere i titoli delle poesie, potrebbe assomigliare a un processo di autoanalisi; lei trova che questa sua terapia ha funzionato o c’è ancora molta strada da fare?

Secondo una lettura microtestuale, sì. Se noi togliamo tutti i titoli a Silloge silenziosa e la leggiamo tutta d’un fiato, viene fuori una lettura veramente autobiografica, di autoanalisi e secondo me è anche catartica questa mia Silloge perché ho sfogato dentro un po’ tutto. Voglio anche aggiungere una cosa: rileggendola c’è un po’ di accademismo, è chiaro, sono un po’ legata a quelli che sono i grandi nomi, quindi la mia conclusione provvisoria è anche quella di trovare finalmente, attraverso la mia poesia, la strada vera da percorrere. C’è anche un po’ di finzione letteraria in tutto questo, perché non è un’autobiografia Silloge silenziosa: c’è sempre il filtro letterario, un Io poetico; non è Valentina che scrive. Quindi attenzione, perché ci sono anche dei tranelli. Non è così semplice carpire il mio universo poetico attraverso queste poesie, ci vuole un continuo, che arriverà.

E forse talvolta è meglio lasciarli sepolti questi porti, piuttosto che andare a scandagliare, quale sia Valentina e quale il suo Io poetico.

Sono d’accordo. Tutte le grandi voci poetiche al mondo, anche se lungi da me dire che io lo sia, sono grandi perché non sono coincidenti con la loro personalità. Se avessi voluto una cosa del genere, avrei scritto un’autobiografia o un romanzo autobiografico. Ho scelto la via poetica perché è un mondo parallelo e allo stesso tempo un mondo altro. Ho voluto sfogare quelli che sono alcuni piccoli dettagli della mia personalità, ma non sono tutti. Non posso svelarli tutti: primo perché non potrei mai farlo, non ci riesco. Come nasce una lirica? Una poesia? Nascono da un’immagine, di getto, nascono da una musica. Non è che decido io quando scrivere, ma dietro c’è anche e soprattutto un lavoro pazzesco, di cesura, di elaborazione del testo. Io sono molto essenziale nella scrittura, e spesso è molto difficile leggermi.

3 Commenti

  1. Bravissima… Il tuo libro ti fa restare senza fiato… Un po’ per la complessità, un po ‘ per il senso delle poesie!!! Complimenti ❤️

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