Verba manent: l’umanità dopo la detenzione

Arrestato il 7 febbraio 2020, Patrick Zaki ieri ha lasciato il commissariato di Mansura. Giovane ricercatore, arrestato e detenuto per 22 mesi nelle prigioni egiziane, è tornato in libertà, seppur ancora sotto processo, e ha riabbracciato i suoi cari. “Sto bene e forza Bologna!”, le sue prime parole. 

“Forza Bologna”, un urlo di vita, che sa di quotidianità e di spensieratezza. Patrick fa il tifo per gli emiliani, guidati da un osso duro come Sinisa. Il coraggio è una dote che non manca a entrambi, e forse non è un caso che stiano dalla stessa parte. Vuole tornare allo stadio, Patrick, a quel “Dall’Ara”dove è libero di essere se stesso, lontano dalle voci sgradite, distante dal Paese che dei diritti umani s’è fatto beffe. 

Troppo spesso sottovalutiamo un aspetto, proprio di ciascun uomo, ovvero l’umanità. Persi nei ragionamenti complessi, ci sfugge il lato umano delle persone. Che dopo quasi un anno di prigionia forse ingiusta fa a spallate col rancore, con la vendetta, col risentimento i quali l’impulso vorrebbe far dominare. Invece no, Patrick è giovane, Patrick è umano. 

Emerge l’umanità in un ragazzo che a poco più di vent’anni ha già molto da raccontare. Non dimenticherà, non perdonerà chi, qualora avesse subito un torto, glielo abbia cagionato; ieri, però, ha respirato la libertà. E si è fatto scappare quel “Forza Bologna”, con tanto di maglietta, che rasserena tutti noi. Pur preservando ciascuno la propria fede sportiva, dovremmo tutti sentirci, almeno oggi, un po’ bolognesi. 

E sperare, soprattutto, che il 1 febbraio dell’anno a venire sia un giorno di festa: usciamo dalla mentalità secondo cui in Egitto non può esserci diritto e senza arrenderci continuiamo a chiedere giustizia. Che non vuol dire assoluzione, ma verità e tutela dei diritti. 

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