Verba manent: magistratura da talk show

Nelle ultime settimane sta emergendo il marcio che si nasconde nei palazzi di (in)giustizia, ove la corruzione e il clientelismo sovraneggiano. Silvio Berlusconi, in tal senso, è stato vituperato per anni, mentre appena qualche giorno fa è fuoriuscita una registrazione che ha provato la ragione dell’uomo, ma non ha riavvolto il nastro del tempo. Meno recente, ma parimenti significativo, è il caso Palamara.

Tra i più grandi problemi che i sopraccitati scandali hanno svelato, ce n’è uno altrettanto degno di nota: i malodori della magistratura si annusano nei salotti televisivi, a giudicare dai più nuovi casi. Il giornalista si fa promotore e giudice (con la speranza di una probità superiore rispetto al “collega” di cui discute) di un’inchiesta, condensando primo grado, appello e Cassazione in una sola prima pagina. Ben venga la notizia, di cui il giornalista è apostolo, ma il processo è altra cosa. Il tribunale, a prescindere dai suoi protagonisti, è e resta il luogo deputato al giudizio. Il giornalismo dà voce, non decide. Altrimenti rischia di incappare nella stessa trappola che esso stesso denuncia.

1 commento

  1. I giornalisti sono spesso alla ricerca dello scoop,si gettano a capofitto su un’intercettazione quasi sempre estrapolandola da un contesto e senza andare a scoprire i retroscena,come Porro che non ha analizzato cosa ci fosse dietro la dichiarazione del giudice che si giustificava con Berlusconi per aver sottoscritto la condanna voluta dal Presidente Esposito.Al solito favori occulti!Non si capisce come certe dichiarazioni emergano solo post mortem,sempre per non far emergere schifezze varie.purtroppo questo tipo di giornalisti hanno la pagnotta pagata e della loro malafede se ne fottono. Perdonate l’uso di verbi forti,ma quando ci vo ci vo

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