Sarebbe ingenuo ed illusorio leggere il Recovery Fund come un semplice atto di generosità, finalizzato a rilanciare le economie colpite dalla crisi del Covid-19. Come sempre accade, la cogenza degli interessi geopolitici ci impone di andare oltre il contingente, scoprendo i movimenti strutturali che stanno alla base della RRF.
Premessa: quando la narrazione giornalistica parla di “soldi europei” è necessario leggere “soldi tedeschi”. Sì, perché quei soldi non sarebbero mai arrivati se Berlino non avesse posto la sua solidità finanziaria come garanzia per i mercati. Questa postura della Germania non è affatto scontata, e rappresenta una prova di maturità geopolitica, uno scatto in avanti potenzialmente di portata strategica. Infatti, la Germania, potenza economica ma sino ad ora nano geopolitico, in questa occasione ha anteposto proprio la geopolitica all’economia, vincendo le resistenze della Bundesbank e dei paesi nordici. Questo atteggiamento segnala una discontinuità col passato, una volontà tedesca di abbandonare la tipica autoreferenzialità da austerity e surplus di bilancio, in favore di una maschera di solidarietà tipica di chi vuol diventare perno di un sistema complesso.
Non è un caso che sia l’Italia a ricevere la quota maggiore dei fondi previsti dal Recovery. Il Nord del nostro Paese è infatti pienamente integrato nella catena del valore tedesca, ed è vitale che sopravviva affinché l’eccellente macchina teutonica continui a funzionare.
Qual è allora l’incognita futura, il non detto che spaventa? Ciò che preoccupa le amministrazioni di Paesi come Italia e Francia è la possibilità, sempre più discussa apertamente, che Berlino abbandoni questa postura prima dello scadere dei 6 anni di finanziamenti previsti dal piano, tornando al rigorismo economico e cessando di fungere da garante per i mercati. In questa chiave va letto il recente avvicinamento tra Francia e Italia – con annesso arresto degli ex brigatisti: Parigi e Roma puntano sostanzialmente a formalizzare un allineamento che convinca Berlino in primis a non ritornare sui binari del Patto di stabilità e crescita, ed in seguito a modificare definitivamente l’architettura economica dell’UE. Questa formalizzazione sarà suggellata dal Trattato del Quirinale, che verrà probabilmente firmato entro l’anno, nell’attesa di capire cosa la Germania vorrà essere da grande, se tornare definitivamente alla storia o ripiegarsi nuovamente su sé stessa.