L’Europa non deve svegliarsi: deve chiudere gli occhi
C’è un momento, prima di innamorarsi, in cui il cuore accelera e la ragione cerca disperatamente di riprendere il controllo. Si calcola, si esita, si costruiscono muri per paura di cadere. L’Europa oggi è così: paralizzata dalla lucidità, inchiodata alla prudenza, mentre il mondo intorno a lei corre. Se vuole davvero diventare sé stessa, non può permettersi di immobilizzarsi davanti a ogni problema.
Tra tecnicismi, iperburocrazia e una saggezza che ci imprigiona
“Troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante”, cantava Battisti. E l’Europa, oggi, è troppo saggia. Una saggezza che non è visione ma timore: timore di perdere equilibri instabili per natura, paura di scommettere sul futuro, paura di essere troppo piccola in un mondo di giganti. Ma la storia non premia chi resta fermo.
Il Rapporto Draghi del 2024 (A Competitive Europe for a Better Future) avverte: l’enorme macchina burocratica di Bruxelles sta lentamente soffocando il sogno europeo. Perché la classe dirigente dell’Unione europea tende a iper-regolamentare anziché costruire piani politici che incentivino la competitività. Draghi ricorda che l’UE, con un mercato di 450 milioni di consumatori, ha tutte le carte in regola per competere con Cina e Stati Uniti.
Eppure, il voto all’unanimità e le agende nazionali restano i principali ostacoli all’integrazione. La soluzione? Parzialmente, potrebbe essere il debito condiviso, il mercato unico e l’abolizione dei veti decisionali. L’ex premier è stato chiaro: nessuno si salva da solo.
Il timore che ci blocca
I problemi burocratici non sono la causa, ma il sintomo. La radice è una sola: la paura, figlia di un’eccessiva logica di fare andare bene le cose. Una logica paralizzante, tipica di chi non vuole innamorarsi per non soffrire. Bruxelles non ha bisogno di svegliarsi: deve chiudere gli occhi, perché ogni grande storia d’amore comincia quando ci si abbandona al futuro.
Non servono risvegli né sermoni sulla crisi. Serve abbandonare l’ossessione del calcolo e osare, come quando ci si innamora: se rimani lucido, non lo farai mai.
Perché l’Europa non è solo mercati e regole. È il coraggio degli ucraini, che difendono la loro scelta europea con il sangue. È l’eredità di chi sognava un continente libero e unito. È il sacrificio di chi ha lottato per farci arrivare fin qui. E noi li ripaghiamo con esitazioni, veti incrociati e incapacità di credere in noi stessi.
Conoscere sé stessi per innamorarsi di nuovo
Nel XIX secolo, Giuseppe Mazzini attraversava un’Europa frammentata, portando con sé un’idea audace e romantica: un continente di popoli liberi, uniti da un ideale che superasse i confini: La Giovine Europa. Non era un freddo stratega, ma un rivoluzionario ricercato dalle polizie di regni e imperi. Non calcolava i rischi, non si chiedeva se fosse prudente sfidare i tiranni. Lui e i suoi compagni accendevano speranze nelle piazze, nei rifugi clandestini, nelle stamperie segrete. Non si lasciavano paralizzare dai dubbi.
Poi venne Altiero Spinelli, confinato a Ventotene. In una cella circondata dal mare, con il nazifascismo a soffocare ogni speranza, scrisse il Manifesto per un’Europa unita. Era il 1941: il continente era sotto gli stivali della Wehrmacht, e lui non aveva nulla—né libertà, né certezze—solo un foglio, una penna e un sogno. Non era razionale, non era prudente. Era un atto d’amore, un grido contro gli orrori del tempo. Spinelli chiuse gli occhi e vide un’Europa senza guerre né frontiere, unita da un destino comune. Quel sogno, nato in prigione, è ancora qui a ricordarci che la passione può nascere anche nell’oscurità.
Oggi, gli ucraini ci insegnano cosa significhi lottare per un’idea di libertà che l’Europa sembra aver dimenticato. Eppure, il nostro continente ha perso quella scintilla rivoluzionaria. È prigioniero di una razionalità paralizzante, di una burocrazia che soffoca ogni slancio, di veti che trasformano ogni progresso in un compromesso al ribasso. Riunioni interminabili, agende nazionali che prevalgono sul bene comune, cautele infinite: sono i sintomi di un’Europa che ha angoscia di proiettarsi nel futuro.
Chi non rischia, non conoscerà mai la bellezza di un’unione vera. L’Europa non ha bisogno di più analisi, tavoli tecnici o prudenza. Ha bisogno di passione. Di leader che sognino, di cittadini che credano attivamente, di un amore che spazzi via tutte le ansie.
Il valore della speranza
“Anche se il timore avrà sempre più argomenti, scegli la speranza”, scriveva Seneca. La speranza non è un calcolo,. È un atto di fede, un salto nel vuoto che chiede coraggio.
Spinelli e Mazzini sognavano un’Europa unita non dai trattati, ma dalla volontà di essere più della somma delle sue parti. Solo così potrà diventare un continente che non si limita a sopravvivere, ma vive.
Non si tratta di essere ingenui: si tratta di riconoscere che l’Europa ha le carte in regola per essere una potenza globale, non solo economica o tecnologica, ma morale. Dobbiamo smettere di guardarci indietro, di chiederci se siamo pronti. Dobbiamo chiudere gli occhi e fare il salto, come chi si abbandona a un grande amore, sapendo che non ci sono garanzie—ma che il rischio vale la pena.
Viva l’amore. Viva l’Europa.