A otto anni se ne andò di casa. Non per ribellione, ma per approdo. Si trasferì a casa della nonna e lì restò fino ai trentadue. Basterebbe questo dettaglio per raccontare chi era davvero Alvaro Vitali: l’italiano medio, l’italiano tipico, ma in una versione caricaturale, ingenua, giocosa. Uno che non ha mai voluto diventare adulto del tutto, che ha trasformato la casa della nonna in una tana sicura, come se la vita stessa fosse una grande scenetta da cui proteggersi dietro una risata.
E in effetti fu questo, per oltre vent’anni: il compagno cinematografico di moltissimi italiani. Una presenza fissa, rassicurante, in quelle commedie a basso budget e altissimo impatto popolare, dove si rideva senza pensarci troppo e si sospirava dietro a ogni scollatura. Vitali era l’incarnazione dell’imbarazzo finto pudico, del desiderio represso, dell’uomo qualunque che finisce, per sbaglio o per fortuna, nel letto sbagliato al momento giusto.
Ma prima della commedia sexy, prima di “Pierino” e della scuola più sboccata d’Italia, ci fu Fellini. E fu proprio lui, il regista dei sogni e delle nevrosi, a scovare in quel viso minuto, negli occhi da bambino e nella voce squillante qualcosa che meritava il grande schermo. Lì nacque il mito. Un mito che, pur nella sua apparente leggerezza, ha attraversato i decenni raccontando più dell’Italia reale di quanto abbiano fatto interi editoriali.
Perché Alvaro Vitali, che i salotti buoni del cinema hanno sempre guardato con sufficienza, rappresentava una nazione senza filtri. Quella che rideva di se stessa, che usava la risata come cura contro l’ipocrisia, che non aveva paura di mostrarsi ridicola. Era il sogno proibito di tanti italiani: non per il fisico, certo, né per il carattere, ma perché si trovava costantemente (sul set, almeno) circondato dalle donne più belle di un’intera generazione. Edwige Fenech, Mariangela Melato, Agostina Belli: nomi che oggi evocano un tempo che sembra passato eppure ci riguarda ancora.
Come molti artisti popolari, fu anche un uomo fragile. E forse proprio quella sua ingenuità, che sullo schermo diventava forza comica, nella vita reale gli è costata cara. Le cronache raccontano di amicizie sbagliate, di persone che gli sono rimaste accanto finché c’era qualcosa da prendere. Di un agio economico che svanisce, di una parabola discendente vissuta con la dignità di chi non si prende mai troppo sul serio, nemmeno nel dolore.
L’altro ieri Alvaro Vitali se n’è andato. E con lui se ne va un pezzo di quel cinema italiano che i grandi cineasti, i letterati, i filosofi dello schermo hanno sempre disprezzato. Ma che ha saputo, spesso meglio di loro, fotografare un’Italia che non c’è più.
O forse si nasconde ancora sotto le coperte di un letto infedele.