Smart working, siamo sicuri?

Con la pandemia del Covid 19 moltissime aziende, dalle più grandi alle più piccole, si sono ritrovate costrette a spingere sull’acceleratore per salvare il proprio business facendo uso, tra le varie politiche aziendali, anche dello smart working. Ma in questo modo molte realtà produttive si sono rese conto che numerose attività si possono fare anche da “remoto”. Ma per quanto tempo ancora?

Non vi è alcun dubbio che il lavoro agile consiste in una soluzione che molte aziende hanno osservato conveniente sia per i loro profitti che per i loro margini di risparmio; difatti in diverse realtà estere come Paesi Bassi, Olanda, Francia, Lussemburgo e Germania, era già in crescita da anni.

Tante aziende, durante l’emergenza coronavirus, sono state costrette a optare per lo smart working, così come brand del calibro di Twitter (che fa da apripista), Facebook, Google e molte altre. La flessibilità lavorativa scoperta con il lockdown ha dimostrato i suoi benefici per la produttività dei lavoratori. Con l’avvento della pandemia Covid 19, l’emergenza ha spinto in maniera vertiginosa la necessità di conformarsi al modus operandi insito in altre realtà. Ma fino a che punto conviene alle aziende lasciare lavorare i propri dipendenti o collaboratori in modalità “agile”?

Facciamo un passo indietro, cercando di fare chiarezza. A differenza del telelavoro, lo Smart Working, per definizione, presuppone per l’appunto flessibilità e adattamento del personale in funzione degli strumenti che si hanno a disposizione dell’azienda. Il telelavoro, invece, è basato sull’idea che il dipendente abbia una postazione fissa, ma dislocata in un luogo diverso dalla rispettiva sede aziendale, che per la maggior parte dei casi coincide con la propria residenza. Per l’appunto, tipicamente la casa del lavoratore. Ma sorge immediatamente naturale domandarsi: “Lavorare da casa è davvero un sinonimo di smart working?” Questa risposta emergenziale delle aziende, infatti, non rispecchia la vera definizione di smart working, piuttosto solo quella di lavoro da remoto o telelavoro. Difatti ci si confonde spesso di blasonare il telelavoro come Smart Working ma in questo modo si cade nell’errore.

Con la definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, si pone l’accento proprio sulla flessibilità organizzativa, sulla necessità di coinvolgere le volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: PC portatili, tablet e smartphone) e che deve essere la stessa società o il rispettivo datore di lavoro, tra le altre cose, a porre il proprio dipendente/collaboratore nelle migliori condizioni per poter svolgere la mansione. È noto anche il fatto del notevole risparmio che si ha per quanto concerne l’uso dei mezzi pubblici per spostarsi dalla propria residenza al posto di lavoro ma anche il notevole impatto che va di moda, per ora, nel finto eco-green che millantano molte campagne. Ma la realtà è un’altra.

Con il telelavoro, il dipendente o collaboratore si trova a dover lavorare molte più ore rispetto a quello che ha pattuito contrattualmente, senza vedersi delle volte nemmeno corrisposti il pagamento delle ore di straordinario o peggio ancora non vi è nemmeno il rispetto dell’equilibrio delicato ma quantomeno doveroso tra vita privata e vita professionale. Non solo, ma per i più tenaci e attenti alle tematiche ambientali spicca in rilievo anche l’annosa questione dei costi di connessione. In altri termini, il lavorare da casa significa difatti utilizzare la propria connessione internet domestica; chi deve pagare queste spese, il dipendente o il datore di lavoro? Mistero della rete.

Giochi di parole a parte, occorre forse dare al lavoratore la scelta libera di poter decidere quando e quante volte lavorare da casa, ma anche la necessità naturale di lasciare il lavoratore libero di tornare a lavorare in sede, al fine di rivedersi con colleghi e amici, perché tutto sommato siamo ancora degli animali pensanti e necessitiamo di interazioni non di certo virtuali.

Forse, con il rientro post Covid 19 che le aziende si trovano a dover affrontare, chi prima chi dopo, occorrerà definire in maniera più chiara e lineare le modalità del lavoro da casa e il rispettivo obbligo anche al c.d. “disconnettersi dalla rete”. Dum loquimur fugerit invida aetas.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here