Nelle sale dal 20 agosto grazie agli sforzi di Midnight factory. Uno dei migliori horror dell’anno, violento e stilisticamente sconvolgente
Dangerous Animals è Ozploitation pura ( il cinema di genere australiano), è Cinema che non ha paura di essere popolare e che non teme il sangue, la carne e l’eccesso. Cinema duro, affilato, orgogliosamente territoriale, capace di coniugare brutalità e intelligenza, intrattenimento e inquietudine. A dirige uno degli autori più importante del cinema australiano, quel Sean Byrnegià acclamato per il capolavoro The Loved Ones (2009) qui al suo terzo film. Il suo è un cinema ossessivo che brucia lento, ma che lascia cicatrici indelebili (e fori in testa da cui toccare il nostro cervello con un dito).
Tucker (un sorprendente Jai Courtney), è un capitano gigante con il sorriso da cane bastardo che offre ai turisti emozionanti immersioni in gabbia tra gli squali. Sotto la facciata c’è un gioco perverso, una danza macabra che è atto di dominio dove turisti /stranieri (soprattutto belle ragazze) vengono filmate mentre vengono date in pasto agli squali. La sua nuova preda è Zephyr (Hassie Harrison, perfetta), surfista americana indipendente e dal passato tormentato. La lotta per la libertà sarà sadica e imprevedibile.
Regia chirurgica e sceneggiatura affilata, Byrne plasma una tensione costante senza ricorrere a jump scare da quattro soldi, ma con una crudezza spietata e un cinismo glaciale. La barca diventa un’arena claustrofobica, teatro di orrori in cui il vero mostro non è lo squalo, bensì l’uomo bianco: machista, predatore, incattivito dal risentimento e nascosto dietro una patina di distanza morale. Tucker incarna l’Australia più profonda e coloniale, un uomo che venera e teme la natura come una religione ossessiva, razionalizzando la violenza come parte del suo ordine naturale. Ma Byrne smonta questo inganno: la natura è innocente, sono la cultura e il trauma storico a forgiare i veri mostri. Dangerous Animals è il racconto di una nazione segnata da ferite antiche, che combatte un presente di violenza sistemica nascosta sotto sorrisi cortesi e corpi allenati. È un film politico per sottrazione: insinua, non predica, mettendo a nudo, sotto la superficie del thriller e del survival horror, un’inquietudine profonda e irrisolta.
E in Italia? La carne è sparita, il sangue è sparito, la paura è sparita (solo dentro le sale cinematografiche). Il nostro cinema guarda altrove, guarda le credit tax e le commedie borghesi. Guada ai “maestri del passato” e alle storie “veramente accadute” e veramente noiose. Dangerous Animals, con un linguaggio potentissimo, parla al pubblico senza sottovalutarlo. Un capolavoro (di genere) che osa sanguinare, di nuovo e di nuovo ancora.
Recensione interessante tranne l’ultima parte, in Italia ci saranno anche i casini di tax credit ma abbiamo un bel ritorno al cinema di genere su tutti abbiamo il MAESTRO Stefano Sollima che non credo abbia bisogno di presentazioni, ma anche Zampaglione, Strippoli, De Feo, Mainetti, pian piano stiamo risalendo la china, semmai è il cinema degli ameriCANI che fa sempre più pena, fatto di reboot, sequel e cinecomics vomitevoli, quindi finiamola di dare contro al nostro cinema.
Ciao Fabio ! Grazie di averci letto e della risposta acuta. Il nostro cinema va spronato e criticato, il mio non è un attacco. Si fanno molti sbagli, la mentalità non è buona. Gli autori ci sono (e ne hai nominati di grandi e ce ne sono altrettanti anche considerando la scena indie), i modelli produttivi mancano. Soprattutto per il cinema di genere per cui ci vorrebbero degli investimenti sistematici perché è quello vendibile in un contesto internazionale oltre che luogo ottimale per dimostrare il valore delle nostre maestranze. Se non cambia il sistema produttivo, se il pubblico non segue le voci diverse muore tutto. E questo sta già accadendo.