Il vertice che si sta per tenere in Alaska è sicuramente un episodio storico; prima di tutto perché riunisce nello stesso luogo i massimi rappresentanti della Federazione Russa e degli Stati Uniti da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina.
Tuttavia, l’importanza storica e il carattere significativo dal punto di vista diplomatico derivano anche dal fatto che questo vertice potrebbe essere il punto di partenza per far scaturire nuovi sviluppi di equilibrio internazionale; il tutto in uno scenario negoziale altamente imprevedibile e largamente soggetto anche alle più minime variazioni umorali.
Mai nella storia la prospettiva leaderistica, condensata soprattutto gli umori e le idee dei due leader, ha avuto così tanta influenza sul piano sistemico.
LA POSSIBILE STRATEGIA DI TRUMP
Una verità analitica che ancora in molti cercano di non accettare è che Trump conserva degli obiettivi legati alla politica estera, ma il suo approccio rozzo, violento ed irrazionale, che in tal modo si dipinge solo in apparenza, spesso fa leggere la realtà con una lente diversa.
Nel grande dibattito accademico delle Relazioni Internazionali qualcuno sta pensando, ancora molto in silenzio, che forse i cosiddetti costruttivisti avevano ragione nel dire che le idee attraverso le quali i decisori leggono la realtà finiscono per condizionarla ed alterarla. Altri ancora, sempre con cauto silenzio, riflettono sulle possibili sinergie che si potrebbero individuare tra l’irrinunciabile portato realista basato sull’interesse e sull’equilibrio di potenza, così a lungo ignorato dagli incauti idolatri delle organizzazioni internazionali, e alcuni spunti costruttivisti prima richiamati.
Quando Trump parla in maniera assai personalistica del carattere fondamentale delle sue impressioni post-incontro, si tratta proprio di questo.
Trump dice: capirò probabilmente dai primi minuti se si potrà raggiungere un accordo.
Un giornalista chiede: come farà a capirlo?
Risposta stizzita: perché questo è quello che faccio, io faccio accordi.
Poi Trump aggiunge: questo è solo un primo incontro che servirà a sondare il terreno, una volta finito chiamerò il presidente Zelensky e i capi europei in quest’ordine e gli comunicherò le mie impressioni. Vedrò se sarà il caso di continuare o se non si potrà immaginare un secondo incontro.
Gli zelanti curatori dei social media presidenziali si affrettano a ripostare l’immagine del dealmaker in chief (tradotto risolutore di accordi in capo, riprendendo la dicitura presidenziale di comandante in capo).
Qualcuno potrebbe sostenere che il pantagruelico egoismo trumpiano la fa ancora una volta da padrone. In parte è vero, ma dall’altra va notata una particolare mentalità affaristica propria del settore immobiliare.
Si diceva appunto, che un obiettivo potrebbe sussistere nella mente del presidente americano. È un immobiliarista, e in fondo si tratta di una contesa territoriale di immense misure. Niente che due “uomini d’affari”, abilissimi e che si “stimano” reciprocamente, non possano risolvere direttamente e, ça vas sans dire, arrogandosi il privilegio di una segreta clausura mentre i media attendono la loro svolta salvifica da cui trarre ispirazione per i loro spettacolari titoli dell’indomani.
Questa in sintesi la probabile visione trumpiana delle cose, che non è ovviamente libera da rischi. La tentazione di concedere oltre il dovuto potrebbe prevalere, perché Trump si è imposto come il re degli accordi, il dealmaker in chief pronto a sistemare ogni problema con la sua persuasiva sapienza affaristica.
Allo stesso tempo, Trump sa bene che un’Ucraina totalmente sottomessa a Putin suonerebbe non come una sconfitta europea ma anche occidentale, e dunque americana. Questo mal si addice a un presidente in perenne ricerca di “un’epoca d’oro” con cui entrare nei manuali di storia. Se a questo si aggiunge il lato estremamente permaloso del presidente americano, è facile immaginare la sua rabbia di fronte a false promesse o altri inganni tipicamente putiniani, quasi il tradimento di un fu grande amico. Tutto questo significa che, paradossalmente, il maggior alleato di Zelensky in questa situazione potrebbe essere proprio la mentalità di Trump.
LA POSSIBILE STRATEGIA DI PUTIN
I russi non hanno mai cambiato la loro visione di ciò che la loro invasione dovrebbe produrre, sia idealmente sia realisticamente. La creazione di una zona cuscinetto che si estenda dalla Crimea sino a Donetsk e Luhansk, dotata di una certa autonomia, potrebbe essere un obiettivo pragmatico ma irrealisticamente giustificabile agli occhi di una società guerriera che dal 2022 vive in uno stato di totale richiamo alle armi.
L’economia è stata convertita per sopperire quasi esclusivamente alle necessità belliche, mentre la lotta per tenere sotto controllo l’inflazione assorbe tutte le energie della banca centrale. Il tutto mentre, sempre più spesso, per effettuare scambi e pagamenti si deve ricorrere a valute di secondo ordine.
È difficile capire quale linea di compromesso potrebbe essere accettabile per un Putin che si trova a fare i conti con la solita linea del fronte sostanzialmente invariata da tre anni, salvo sporadici episodi alteranti, e costi-benefici che slittano verso margini sempre meno convenienti.
Qualcuno sostiene che un’eventuale interruzione dei combattimenti a seguito di un accordo potrebbe consentire ai russi di risistemare le proprie scorte belliche e normalizzare la situazione interna. Vi è della verità, che vale però anche per l’Occidente e i suoi alleati da sempre impegnati a rifornire l’Ucraina attingendo alle proprie riserve. Come riporta brillantemente Woodward nel suo libro War, il rifornimento costante di munizioni d’artiglieria era uno degli incubi che toglievano costantemente il sonno ai funzionari dell’amministrazione Biden, leggi soprattutto Sullivan e Austin, così come agli altri apparati di difesa occidentali.
È vero che la Russia sta aumentando i suoi già colossali sforzi di rafforzamento militare, ma non si può avere certezza che l’obiettivo del prossimo futuro sarà una contesa avversariale che coinvolga l’OTAN in modo diretto. Sicuramente la Russia ci ha insegnato che nel mondo di oggi è ancora possibile fare una guerra, ma dato che Putin, da bravo calcolatore e fanatico della storia, è uno dei pochi che impara qualcosa dai suoi errori, sarà difficile vedere un paese che ha fatto fatica a soggiogare una singola nazione di quaranta milioni di anime scagliarsi contro un’alleanza che annovera tra i suoi membri le forze armate più potenti del mondo. Ma si sa, coi fanatici tutto può accadere, soprattutto per il bene della Madre Russia che deve tornare ad accedendere il focolare nella sua culla di Kiev.
UNA SINTESI PARZIALE
Come prima si diceva, molto dipende dai due uomini che si confronteranno in questo bilaterale così peculiare, e dalle pulsioni di sistema nonché di apparato alle quali entrambi, in misura diversa, risultano sottoposti.
Nel caso in cui l’incontro registrerà un esito fallimentare è possibile che gli Stati Uniti di Trump adotteranno ritorsioni più violente dell’aspettato, spinte da un’animo vendicativo. Se, di converso, si dovesse intravedere un secondo incontro, è possibile che quella sorta di regola non scritta secondo la quale a chi parla il linguaggio della violenza si risponde solo con la violenza possa trovare una conferma di portata mondiale.