India – Pakistan: l’inizio di un nuovo conflitto. Cause e concause

Continua lo scambio offensivo fra India e Paksitan a seguito dell’attentato del 22 Aprile. L’Operazione Sindoor, il Kashmir conteso ed il timore del nucleare. 

Sale il numero delle vittime a seguito del nuovo fronte di guerra che si è aperto nella tarda serata del 6 maggio fra India e Pakistan: il portavoce dell’esercito pakistano, il tenente generale Ahmed Chaudhry e fonti indiane, parlano di circa 50 civili coinvolti negli attacchi missilistici degli ultimi 3 giorni che New Delhi, con l’Operazione Sindoor, ha sferrato verso i nove presunti “siti terroristici” pakistani lungo la Linea di Controllo (LoC), nella regione contesa del Kashmir, all’indomani dell’attentato del 22 aprile a Pahalgam. L’India ha definito le sue azioni di ritorsione come una risposta al presunto “sostegno al terrorismo transfrontaliero” pakistano, con il ministro degli Esteri indiano, Vikram Misri, che ha così rincarato la dose: “perché lo spirito dell’India non sarà mai spezzato dal terrorismo. Il terrorismo non rimarrà impunito. Verrà fatto ogni sforzo per garantire che giustizia sia fatta. L’intera nazione è determinata”. Islamabad, dal canto suo, ha qualificato l’aggressione indiana come un effettivo atto di guerra, avvertendo che il governo pakistano darà una risposta adeguata” a quello che il primo ministro Shehbaz Sharif ha invece definito come “un astuto nemico che ha condotto attacchi codardi”. Intanto, ed è notizia di poche ore fa, l’India ha definitivamente chiuso il suo principale valico di frontiera con il vicino Pakistan, così come annunciato dal ministero degli Esteri, interdicendo dunque il confine tra Attari e Wagah.

Si tratta del più grave scontro militare tra i due Paesi negli ultimi 20 anni, che dal ’48, ossia dalla fine dell’egemonia britannica in India, mantengono alta la tensione. 

Il raid del 22 aprile

L’attacco terroristico nel Kashmir indiano del 22 aprile scorso è stato rivendicato dal Fronte della Resistenza pakistano, un gruppo armato supportato in parte dagli stessi apparati pakistani e che ha dichiarato la sua esistenza già nel 2019 a seguito di un assalto nella città di Srinagar. Orientato nel colpire i civili appartenenti alle minoranze residenti nel Kashmir, secondo l’Observer Research Foundation (Orf) di Nuova Delhi, il Fronte della Resistenza è stato classificato dall’India come “organizzazione terroristica”, costola del gruppo islamista fuorilegge Lashkar-e-Tayyiba, responsabile degli attacchi a Mumbai del 2008. Per l’Orf, “il Fronte della Resistenza è una forza di resistenza politica, nata in Kashmir e per il Kashmir, contro le forze di occupazione illegali, senza una figura o una leadership jihadista centralizzata”. A seguito dell’azione del 22 aprile scorso nei confronti dell’India, quest’ultima ha reagito accusato il Pakistan di sostegno al terrorismo, minacciando il governo, fra l’altro, di sospendere l’accordo sulle acque del fiume Indo, firmato nel 1960 dopo nove anni di trattative e vitale per le attività pakistane. Islamabad ha risposto sospendendo tutti gli accordi bilaterali con l’India, inclusi gli accordi di Simla del 1972 – che avevano allora messo fine alle ostilità tra i due Paesi – includendo anche gli accordi commerciali con Nuova Delhi, ha chiuso lo spazio aereo alle compagnie indiane ed valico di confine di Wagah, ordinando inoltre a tutti i cittadini pakistani di lasciare l’India. 

Il Kashmir: un territorio conteso

E’ dalla Partizione del ’47 che il Kashmir resta conteso fra l’India ed il Pakistan, quando la popolazione, a maggioranza musulmana, decise di essere amministrata dall’India provocando in seguito invasioni pakistane e continue guerriglie evidentemente ancora mai sopite. Questo territorio risulta cruciale specialmente dal punto di vista idrico, per la presenza del fiume Indo, la principale risorsa di approvvigionamento di acqua per entrambi gli stati, ma è anche un territorio che racchiude un importante valore identitario con ripercussioni geopolitiche determinanti: per l’India rappresenta l’integrità territoriale e la laicità dello Stato, mentre per il Pakistan, è la causa musulmana per cui combatte dalla Partizione del 1947. Inoltre il controllo dell’Himalaya, che rappresenta una posizione strategica fondamentale per la sicurezza nazionale. Dopo anni di contese, l’Onu ha tentato, con la Risoluzione 47 del 1948, di porre fine a questa diatriba attraverso un tentativo di referendum che non si è mai svolto, con l’India che continua a rivendicare il Kashmir come parte integrante del suo territorio ed il Pakistan che ne invoca il diritto all’autodeterminazione. Entrambi gli stati, ed ad oggi specialmente l’India, non accettano interferenze internazionali rispetto alla decisione sul Kashmir, tantomeno da parte delle Nazioni Unite.

Il timore del nucleare e le reazioni internazionali

Se il Pakistan ha dichiarato che sarà disposto ad archiviare le ostilità quando l’India interromperà “ulteriori provocazioni”, gli Stati occidentali manifestano preoccupazione rispetto a questa nuova escalation militare, specialmente considerando la possibilità di innescare una risposta nucleare da parte dei due paesi coinvolti. Entrambi armati, dispongono rispettivamente di circa 160 e 170 testate atomiche e stanno intensificando la modernizzazione dei rispettivi arsenali. A preoccupare maggiormente è però la dottrina pakistana del “first use”, che prevede l’uso del nucleare in risposta anche ad attacchi convenzionali. Per tale motivo, l’attuale sospensione dell’accordo di Shimla, che prevedeva la risoluzione bilaterale delle controversie fra India e Pakistan, porta con sé conseguenze potenzialmente nuove oltre che pericolose. Proprio a tal riguardo, il segretario di Stato americano Marco Rubio, ha esortato i due Paesi a “disinnescare” immediatamente la situazione di crisi, accanto alle esortazioni dell’Onu ed alla predisposizione benevola della Cina, che si dichiara – al momento – disposta a fare da mediatrice, nonostante, in realtà, in quest’ambito mantenga un ruolo controverso. Alleata di Islamabad, che sostiene politicamente e militarmente, è sempre stata particolarmente interessata alla stabilità del Kashmir per ovvi motivi: controlla direttamente l’Aksai Chin, una porzione del Kashmir che rappresenta un fondamentale collegamento tra Tibet e Xinjiang, zona però rivendicata dall’India, essendo inserita nella strategia della “Nuova Via della Seta”. Non solo: è presente lungo la Linea di Controllo Effettivo (LAC) in movimenti di tensione – sempre contro l’India – alimentando dunque instabilità territoriali, che potrebbero, a lungo andare, coinvolgerla direttamente, nonostante al momento si dica disponibile a “svolgere un ruolo costruttivo” per allentare le tensioni.

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