Insulti, fair play e politichese

Non ho mai dimenticato, e ogni volta il ricordo mi provoca ilarità, uno scambio di battute presente in un film degli anni ’90 dedicato a Giovanna D’Arco.

Il re d’Inghilterra invia un ambasciatore dal re di Francia perché gli dica che la guerra è persa per i francesi e che deve arrendersi. Risposta del re di Francia: “Digli che vada a farsi fottere.” L’ambascatore, tornato dal re d’Inghilterra che gli chiede quale sia stata la risposta, così riferisce: “Ha detto che ci penserà.”

Queste due risposte sintetizzano appieno il tono di due diametralmente opposti linguaggi politici: quello attuale e quello di alcuni decenni fa. Non intendo qui rimpiangere il linguaggio eccessivamente eleborato e talora criptico della prima repubblica, di cui le “convergenze parallele” sono quasi diventate l’emblema. Il termine “politichese” attribuito a quel linguaggio non è privo di una certa nota dispregiativa, in quanto astruso e poco comprensibile ai comuni cittadini, i quali peraltro erano chiamati a votare e ad eleggere coloro che quel linguaggio adoperavano.

Oggi tuttavia domina in politica un linguaggio che, nella migliore delle ipotesi, potremmo definire “da bar” e che non raramente sfocia nell’insulto vero e proprio.

Beppe Grillo, autentico Monsignor Della Casa della politica, ne è stato uno dei precursori e Donald Trump ne è il più illustre fra gli attuali esponenti.

Ci domandiamo se l’essere passati dal politichese all’insulto sia o meno un segno di progresso. Certo, i cittadini comprendono meglio il linguaggio di oggi rispetto a quello di allora.

Tuttavia, laddove il dialogo si svolga fra persone che fino al giorno prima si erano insultate, come talora accade in una discussione al bar o nella curva di uno stadio a proposito di un rigore dato o non dato, non è forse più difficile valorizzare ciò che unisce rispetto a ciò che divide e giungere a quelle necessarie mediazioni senza le quali l’opera di un governo o di un parlamento non farebbe passi avanti? Credo francamente che la risposta debba essere positiva. In questo senso si può apprezzare il significato della massima secondo cui talora la forma diviene sostanza.

E allora, senza rimpiangere il politichese di andreottiana memoria, l’auspicio, peraltro privo di illusioni, è che i politici di oggi si iniettino una massiccia dose di fair play, quel fair play che nulla toglierebbe all’immediata comprensibilità dei loro discorsi ma che toglierebbe un po’ di sciatteria, e in qualche caso un po’ di veleno, al clima politico dei giorni nostri.

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