Libano: rischio di guerra civile. Un’analisi geopolitica della crisi libanese del 2025

Tra pressioni internazionali, crisi istituzionale e milizie armate, il Libano si avvicina pericolosamente a una nuova fase di conflitto interno. L’equilibrio settario vacilla, mentre la sfida al ruolo di Hezbollah rischia di riaprire le ferite mai sanate della guerra civile.

Il Libano si trova in una fase di acuta instabilità politica, istituzionale e sociale, aggravata dal deterioramento economico e dalla crescente pressione internazionale sul disarmo di Hezbollah. In tutto questo giocano fattori interni ed esterni che alimentano il rischio di un ritorno al conflitto civile, con una particolare attenzione al ruolo delle milizie, al vuoto di governance e alla polarizzazione geopolitica regionale.

A distanza di 35 anni dalla fine ufficiale della guerra civile (1975–1990), il Libano oggi attraversa una nuova fase di frammentazione politica e istituzionale che mette in discussione la tenuta dello Stato. Gli eventi dell’estate 2025, in particolare l’aumento delle pressioni internazionali per lo smantellamento dell’apparato militare di Hezbollah, hanno fatto riemergere la possibilità concreta di un conflitto interno su base settaria. La complessità del sistema politico ed istituzionale libanese, strutturato in base all’appartenenza religiosa insieme alla sovrapposizione di interessi esterni, rende il contesto libanese altamente volatile e vulnerabile all’escalation.

Hezbollah e l’ambiguità della sovranità libanese

Hezbollah rappresenta oggi l’attore politico-militare più influente all’interno del sistema libanese. Formalmente parte del governo e titolare di un’importante rappresentanza parlamentare, il movimento sciita continua a mantenere una capacità militare autonoma e strutturata, in aperto contrasto con il principio del monopolio statale dell’uso della forza. La sua alleanza strategica con l’Iran e il coinvolgimento in scenari regionali (come il conflitto siriano) ne rafforzano la posizione come attore transnazionale, ma ne indeboliscono la legittimità interna presso le componenti sunnite e cristiane. L’attuale dibattito sul disarmo di Hezbollah è stato riacceso dalle richieste degli Stati Uniti e da parte dell’Unione Europea di applicare integralmente la Risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tale risoluzione, adottata nel 2004, impone la smilitarizzazione di tutte le milizie libanesi non statali, ma non è mai stata implementata in modo sostanziale. Le nuove pressioni da parte del governo libanese sulla milizia filoiraniana sono percepite da quest’ultima e dai suoi alleati come una minaccia esistenziale, sia per la sopravvivenza politica del movimento sia per la sicurezza della comunità sciita. Il governo infatti preme sugli Hezbollah perché cessino di essere un partito armato, sostenuto da Francia, Stati Uniti ed Unione Europea ma c’è anche il timore di Trump, che vede da parte del Libano l’intenzione di entrare a far parte dei Patti di Abramo, ossia di creare un nuovo equilibrio fra i paesi del Medio oriente. Gli Hezbollah, sostenuti fortemente dall’Iran, non intendono cedere alla smilitarizzazione in un contesto civile multietnico in cui invece loro, la parte sciita, rappresentano il braccio armato.

Il sistema confessionale e il blocco istituzionale

Il Libano è organizzato secondo un sistema politico confessionale che assegna le cariche istituzionali in base all’appartenenza religiosa: il presidente della Repubblica è cristiano maronita, il primo ministro è musulmano sunnita e il presidente del Parlamento è sciita. Tale sistema, lungi dal garantire una rappresentanza equa e funzionale, ha storicamente prodotto paralisi decisionale e clientelismo. La crisi politica in corso, iniziata con le proteste del 2019 e mai risolta, si è ulteriormente aggravata dopo l’esplosione al porto di Beirut nel 2020 e la conseguente delegittimazione dell’apparato statale. La mancanza di un’autorità centrale forte e riconosciuta, unita al deterioramento dei servizi pubblici, ha generato un vuoto che viene spesso riempito da attori non statali, milizie identitarie e reti clientelari locali. In tale contesto, la richiesta di disarmare Hezbollah non si traduce semplicemente in una questione di sicurezza nazionale, ma diventa un catalizzatore di scontro identitario tra le comunità.

Il contesto economico e il malessere sociale

La crisi economica iniziata nel 2019 ha avuto effetti devastanti sulla coesione sociale del paese. Il crollo della valuta, il default del debito pubblico e l’implosione del sistema bancario hanno portato il tasso di povertà oltre il 70%. Le classi medie sono state ridotte all’indigenza, e le fasce più vulnerabili dipendono ormai dai meccanismi assistenziali settari o da aiuti esterni. In assenza di una riforma strutturale del sistema economico e di un piano credibile di ripresa, le condizioni materiali della popolazione continuano ad alimentare tensioni e proteste, con un crescente rischio di mobilitazioni violente.

Dinamiche regionali

Il Libano non può essere compreso senza considerare le dinamiche regionali che lo attraversano. Il paese rappresenta da decenni un’arena di competizione geopolitica tra Iran e Arabia Saudita, con il coinvolgimento diretto o indiretto di Israele, Stati Uniti, Francia e altri attori regionali. Hezbollah costituisce il principale strumento di proiezione dell’influenza iraniana nel Levante, mentre le forze sunnite e cristiane mantengono legami consolidati con Riyadh e Parigi. In questo quadro, le tensioni lungo il confine meridionale con Israele costituiscono un ulteriore fattore di rischio. Negli ultimi mesi, lo scambio di attacchi missilistici e le operazioni di rappresaglia tra Hezbollah e le Forze di Difesa israeliane hanno riportato alla mente il conflitto del 2006. Le minacce israeliane di un’operazione su vasta scala nel sud del Libano, qualora Hezbollah non venga disarmato, aggravano il senso di vulnerabilità percepito da ampi settori della popolazione sciita, rafforzando la narrativa dell’“auto-difesa” promossa dal movimento.

La situazione oggi

Il Libano si trova oggi in una situazione di impasse strutturale: da un lato, la richiesta di disarmo di Hezbollah rappresenta un passaggio necessario per ripristinare la sovranità statale e la legalità internazionale; dall’altro, ogni tentativo coercitivo rischia di innescare una dinamica di escalation settaria che il fragile equilibrio interno non è in grado di assorbire.

Senza una riforma profonda dell’architettura politica, accompagnata da un processo di riconciliazione interconfessionale e da una riduzione delle ingerenze esterne, il Libano resterà esposto al rischio cronico di conflitto. Le condizioni attuali — militarizzazione, crisi economica, paralisi istituzionale e polarizzazione geopolitica — costituiscono un mix esplosivo che potrebbe facilmente degenerare in una nuova guerra civile, con implicazioni destabilizzanti per l’intera regione mediorientale.

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