Libia: torna l’ombra del caos tra scontri armati e attacchi marittimi

In meno di 48 ore, la Libia ha vissuto due episodi che raccontano ancora una volta la sua fragilità: dodici morti alle porte della capitale Tripoli ed un attacco armato in pieno mare contro una nave umanitaria impegnata nel salvataggio di migranti. Segnali inequivocabili di una crisi che continua a sfuggire al controllo delle autorità e all’attenzione della comunità internazionale.

L’attacco a una nave ONG

Domenica 24 agosto, a circa 40 miglia nautiche al largo della costa libica, un pattugliatore della Guardia Costiera ha aperto il fuoco per oltre venti minuti contro la Ocean Viking, nave della ONG SOS Méditerranée impegnata in una missione di salvataggio. Nessuno è rimasto ferito, ma l’attacco ha provocato gravi danni all’imbarcazione. Secondo quanto riportato dall’equipaggio, l’aggressione è durata circa venti minuti, in piena area di operazioni umanitarie e ben oltre le acque territoriali libiche. A bordo si trovavano 87 migranti già tratti in salvo, tra cui donne e bambini oltre all’equipaggio della nave che si è visto costretto a interrompere la missione e cercare rifugio. L’attacco è stato descritto come deliberato e pericolosamente ravvicinato.

Negli ultimi mesi, episodi simili si sono ripetuti con preoccupante frequenza. Non è la prima volta che la Guardia Costiera libica viene accusata di aggressioni contro operatori umanitari. Già in passato episodi simili si sono verificati, alcuni dei quali con esiti tragici. La strategia sembra chiara: dissuadere le ONG dal continuare le missioni di salvataggio, scoraggiando la presenza in mare e lasciando i migranti alla deriva o riportandoli con la forza in Libia. Una prassi che vìola i principi fondamentali del diritto marittimo e umanitario, poiché la Libia non è considerata un porto sicuro per lo sbarco. Dietro queste dinamiche si cela un nodo geopolitico complesso. La Guardia Costiera libica riceve finanziamenti, equipaggiamenti e formazione da vari paesi europei nell’ambito della cooperazione per la gestione dei flussi migratori. Tuttavia, l’uso di tali risorse per agire in modo violento contro missioni umanitarie solleva dubbi sulla reale efficacia e trasparenza di questa collaborazione. Ma l’aggressione di domenica scorsa segna un’escalation ulteriore, aggravata dal fatto che le motovedette libiche sono spesso fornite, finanziate e addestrate da fondi europei. Le istituzioni europee, pur consapevoli della situazione, mantengono dunque un atteggiamento ambivalente: da un lato finanziano operazioni di contrasto all’immigrazione, dall’altro dichiarano sostegno ai diritti umani. La contraddizione è evidente: un’ambiguità che alimenta un dibattito sempre più acceso sul ruolo delle missioni anti-migranti sostenute dall’UE.

Scontri armati a Tripoli: 12 i morti

A terra, il caos non è minore. Ieri, 25 agosto, violenti scontri armati sono esplosi a ovest di Tripoli, dopo un tentativo fallito di assassinio contro il comandante Muammar al-Dawi, capo della 55ª Brigata, uno degli uomini più influenti delle forze fedeli al Governo di Unità Nazionale (GNU). L’attacco, compiuto da un gruppo armato non identificato, ha innescato combattimenti tra milizie rivali nella periferia occidentale della capitale e nella città di Az Zawiyat, a circa 40 km da Tripoli.

Il bilancio è pesante: almeno 12 morti e numerosi feriti. Al-Dawi è sopravvissuto all’attentato, ma le cause e i mandanti restano oscuri. Tuttavia, alcuni sospettano un collegamento con la morte di Ramzi al-Lafaa, altro potente comandante libico ucciso proprio a Tripoli lo scorso luglio. Secondo alcune voci interne ai gruppi armati, Al-Dawi sarebbe stato considerato il principale responsabile della sua eliminazione. Non solo: negli ultimi giorni un razzo è esploso nei pressi del quartier generale delle Nazioni Unite durante una riunione diplomatica.

Il quadro più ampio: una crisi senza sosta

La Libia si conferma così come un fragile mosaico di milizie, governi paralleli e influenze straniere. Il paese è infatti frammentato, diviso tra due governi rivali e costantemente attraversato da tensioni tra milizie. Il Governo di Unità Nazionale, riconosciuto a livello internazionale e basato a Tripoli, esercita un controllo parziale, costantemente minato da scontri interni e da un mosaico di alleanze mutevoli e violente. Le forze rivali, in particolare nell’est del paese, continuano a contendere il potere politico e militare.

Nel frattempo, migliaia di migranti continuano a tentare la traversata del Mediterraneo. Le operazioni di salvataggio sono sempre più difficili e pericolose. Le ONG denunciano costantemente respingimenti illegali, violenze nei centri di detenzione libici e ostruzioni sistematiche al loro lavoro. In mare, la Guardia Costiera libica agisce come attore armato e politico, non come strumento umanitario. Gli incidenti come quello contro la Ocean Viking sono la prova tangibile di un clima che non conosce tregua.

La comunità internazionale guarda altrove

L’Unione Europea continua a finanziare le autorità libiche per contenere i flussi migratori, ma tace sugli abusi. L’ONU resta in una posizione di osservazione impotente, mentre l’influenza regionale di potenze straniere alimenta conflitti sotterranei. Intanto, i civili — libici e migranti — pagano il prezzo più alto.

Con scontri in città, attacchi in mare e un’evidente impunità diffusa, la Libia sembra sempre più abbandonata al suo destino. A distanza di anni dalla caduta di Gheddafi, il paese resta uno dei nodi più irrisolti della geopolitica mediterranea: instabile, armato e dimenticato, mentre il Mediterraneo torna ad essere non solo un confine geopolitico, ma un campo di battaglia dove si scontrano interessi, responsabilità e, soprattutto, purtroppo, vite umane.

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