Verba manent: Draghi e l’Europa sull’orlo

“Con i dazi siamo al punto di rottura”. Così Mario Draghi, da Coimbra, ha aperto gli occhi all’Europa. Non è un’iperbole, né una provocazione: è un avvertimento lucido, diretto, durissimo. L’ex presidente della Banca Centrale Europea parla con la freddezza di chi conosce i numeri e con l’urgenza di chi sa che la finestra per agire si sta chiudendo. L’Europa, dice, deve cambiare, o sarà travolta.

I dazi non sono più solo uno strumento economico. Sono una leva politica, un’arma strategica. Vengono usati per negoziare, ricattare, punire. L’era del libero scambio regolato da trattati multilaterali è finita, e con essa l’illusione che la globalizzazione fosse un terreno neutro. Oggi ogni nazione fa da sé. Gli Stati Uniti erigono barriere, la Cina costruisce imperi economici, e l’Europa? Rimane spettatrice, frammentata e lenta.

Draghi lo dice senza giri di parole: “L’ordine multilaterale è stato minato in modo difficilmente reversibile”. Il WTO è svuotato, gli accordi sono aggirati, le alleanze storiche si incrinano sotto il peso dell’interesse nazionale. Davanti a questo scenario, il tempo della diplomazia silenziosa è finito. Serve una svolta.

E la svolta è l’Europa. Ma non l’Europa dei veti incrociati, delle gelosie fiscali, delle capitali che si guardano in cagnesco. L’Europa che serve è quella capace di pensare e agire come un soggetto politico unico. Un’Unione che abbia una politica industriale comune, una strategia fiscale coordinata, una difesa condivisa. Un’Unione che parli con una voce sola, anche quando si tratta di rapportarsi con colossi come gli Stati Uniti e la Cina.

Draghi l’ha detto chiaramente: se l’Europa vuole dipendere meno dagli americani, deve imparare a camminare sulle proprie gambe. Non si tratta di rompere alleanze, ma di riequilibrarle. Di non essere più semplici clienti, ma partner. Di non vivere sotto scacco dei dazi altrui, ma di avere la forza politica, economica, diplomatica per difendere i propri interessi.

Serve crescita, ora. Ma la crescita non si stampa, né si improvvisa. Va costruita con investimenti seri, con riforme strutturali, con scelte coraggiose. Ed è qui che si gioca il ruolo storico delle istituzioni europee. La Commissione, il Parlamento, i governi nazionali: tutti dovranno fare i conti con la stessa verità. Non c’è più tempo per riforme cosmetiche. Non possiamo più permetterci una politica estera divisa, una fiscalità schizofrenica, una difesa che esiste solo nelle parole.

O l’Europa si unisce, o si spezza. Non c’è via di mezzo. E in questo bivio, la scelta non è più tra conservazione e progresso, ma tra rilevanza e irrilevanza. Draghi ha mostrato la direzione. Tocca alla politica avere il coraggio di seguirla.

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