Il quorum non è stato raggiunto. I referendum dello scorso fine settimana, su temi cruciali come il lavoro, la cittadinanza, la sicurezza nei luoghi di lavoro, sono stati ignorati. E l’Italia, di nuovo, si è voltata dall’altra parte.
Una parte del centrosinistra ha scelto di utilizzare lo strumento referendario in chiave puramente simbolica e strumentale, consapevole del fatto che l’obiettivo non fosse quello di vincere nel merito, ma di dimostrare di avere i numeri per arginare l’avanzata della destra. Una scelta più identitaria che democratica, più scenica che sostanziale. Dall’altro lato, la destra ha scientemente boicottato la consultazione, trasformando l’astensione in una parola d’ordine, in un principio ideologico, in un dogma utile a disinnescare l’avversario. Ma così facendo, ha minato le basi stesse della partecipazione democratica. Ha preferito silenziare il confronto invece che affrontarlo.
Il risultato? Una débâcle civile. E una fotografia nitida di un Paese che, quando si tratta di diritti, sa solo parlarne. Ne discute nei salotti televisivi, li sbandiera nei comizi, li brandisce come totem o minacce. Ma poi, quando ha l’occasione concreta per decidere, per scegliere, per prendersi la responsabilità, si tira indietro.
Ci si riempie la bocca con parole come lavoro, sicurezza, dignità, inclusione. Ma quando queste parole diventano quesiti concreti, strumenti normativi, opzioni sulle quali votare, il silenzio cala come una condanna. E la democrazia resta sola.
L’Italia ha bisogno di tornare a discutere seriamente. A guardare negli occhi le questioni vere, quelle che riguardano la vita quotidiana di milioni di persone. Che si tratti di salario minimo, di condizioni nei cantieri, di cittadinanza per chi è nato e cresciuto qui, serve un dibattito politico reale, aperto, onesto. Non guerre di trincea, non giochi a somma zero.
Ignorare questi temi non è solo una colpa: è un atto di ignoranza. È il rifiuto di assumersi la responsabilità collettiva del futuro.
E allora la domanda non è più solo perché non si è raggiunto il quorum. La vera domanda è: che tipo di Paese vuole essere l’Italia? Uno che ha paura del confronto, o uno capace di affrontarlo? Uno che si nasconde dietro il disinteresse, o uno che riscopre la forza della partecipazione?
Perché il diritto di voto, se non viene esercitato, smette di essere un diritto. E la democrazia, se non la si coltiva, smette di essere una certezza.