Kobe Bryant: tributo a una Leggenda

Sono circa 24 ore che cerco di scrivere questo pezzo ed ogni volta che arrivo a metà cancello tutto, perché proprio Kobe Bryant mi hai insegnato che, seppur la perfezione non esiste, bisogna sempre fare di tutto per avvicinarsi il più possibile a lei. Solo una parola, tra la confusione dei miei pensieri, è ben chiara in questo momento: grandezza, forse la qualità migliore per descrivere chi era davvero Kobe Bryant, un giocatore in grado di generare in se una tale ammirazione che andasse oltre il semplice tifo e, a tal proposito, vorrei ricordare un episodio in particolare che lo testimonia: Boston, 30 dicembre 2015, ovvero l’ultima partita di Bryant al TD Garden. Al momento dell’annuncio delle squadre l’aria che si respirava era diversa, c’era un brusio particolare, come se stesse per accedere qualcosa di magico, interrotto dallo speaker dei Celtics che dice: “At the other forward, 6’6” from Lower Merion high school, playing is final game in Boston, number 24, Kobe Bryant”.

Invece della solita bordata di fischi, stavolta si sono alzati tutti in piedi ad applaudire e ad acclamare quello che forse è il più grande rivale sportivo dell’era moderna di tutta Boston, perché in 20 anni di battaglie, la cosa che ha trasmesso ai suoi più grandi rivali, è l’immenso rispetto nei confronti della franchigia che più di tutti lo ha “detestato”.

Un episodio, uno dei tanti, che descrivono cosa è stato Bryant per lo sport e per la vita. Uno che forse, senza volerlo, è diventato un’ispirazione ed un modello per milioni di persone che si affacciavano al basket e volevano essere giocatori migliori, grazie alla sua ossessiva etica del lavoro ed al suo amore sconfinato per la palla a spicchi, un amore che ha racchiuso in quella lettera dedicata al basket che, proprio prima della sua ultima partita a Philadelphia, ha spiazzato tutto il mondo del basket e, più in generale, dello sport. Un amore che lo ha anche danneggiato al punto di perdere quasi tutto, di giocare sopra gli infortuni e di rischiare anche quando non ce ne fosse bisogno. Una passione che aveva passato alla sua Gigi, una piccola Mamba in miniatura che a malapena 14 anni stava già facendo innamorare esperti di tutto il mondo, col gioco simile al padre e quella mentalità dedicata all’etica del lavoro e alla perfezione metodica che nelle ultime due decadi Bryant ha elevato all’estremo, con sessioni di allenamento da 6 ore e shooting round alle 3 del mattino e che, con lui, ha incontrato il più crudele dei destini con tutta una vita davanti da vivere. 

C’è un passo, in particolare, della lettera al basket, che merita di essere riportato: ”Hai fatto vivere a un bambino di 6 anni il suo sogno di essere un Laker e per questo ti amerò per sempre. Ma non posso amarti più con la stessa ossessione. Questa stagione è tutto quello che mi resta. Il mio cuore può sopportare la battaglia la mia mente può gestire la fatica ma il mio corpo sa che è ora di dire addio.“

Una dichiarazione d’amore e devozione, spinti fino al trasformare quelle emozioni in dolore, fatica, disperazione e voglia di ritentare quando tutto sembrava andare nel verso sbagliato. Queste stesse dichiarazioni che oggi risuonano come una beffa per me, perché nonostante sia stato il rivale sportivo più forte che da tifoso abbia incontrato, nonostante le volte in cui ho maledetto il tuo sconfinato talento, quando nel giugno del 2010, alle 7 del mattino, dopo una delle serie Finali più belle che l’NBA possa ricordare, hai alzato il Larry O’Brien trophy dinanzi ai miei occhi pieni di rabbia per la sconfitta subita dai Celtics, quando ti mettevi “da solo sull’isola” e guai a chi si azzardava a dare il 99% invece del 100%. Sei stato una costante ispirazione, dentro e fuori dal campo, e proprio citando la frase della lettera in precedenza, vorrei paragrafarla così: “Hai fatto vivere a milioni di ragazzi il sogno di poterti vedere e per questo ti ameremo per sempre e solo ora che non ci sei più, ci stiamo rendendo conto che non eravamo per nulla pronti a lasciarti andare così, all’improvviso e che forse non lo saremo mai.”

Grazie per averci trasmesso tutto ciò, grazie per le nottate in bianco che abbiamo passato a vederti regalarci magie e alla tua grandezza, che ha prima diviso il mondo del basket e poi l’ha unito nella commemorazione del tuo ricordo e di quello di GIgi. In questo momento di sconforto totale e di tristezza infinita, in cui tutto sembra così surreale e vuoto, una sola è la certezza, che la tua eredità si è trasformata prima in mito col tuo ritiro e si trasformerà di nuovo, il giorno in cui ti introdurranno nella Hall of Fame, in Leggenda.

Farewell Mamba  e Mambacita

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