Verba manent: Settala, il silenzio che uccide

Un’altra donna è stata uccisa. Un altro nome, un altro volto, un altro corpo strappato alla vita da chi diceva di amarla. A Settala, provincia di Milano, l’ennesimo femminicidio ci sbatte in faccia la brutalità che ancora si consuma dentro le case, dove la violenza non ha bisogno di armi da guerra per essere letale: bastano il possesso, il controllo, l’idea malata che l’altro sia proprietà. A essere ammazzata è stata ancora una volta una donna. Ma a essere sotto accusa, in fondo, è una società intera.

Dopo ogni femminicidio si alza il coro delle condanne, la richiesta di pene più dure, l’indignazione a orologeria. Si scrivono post, si organizzano fiaccolate, si promettono provvedimenti esemplari. Poi tutto si spegne. E resta solo il silenzio. Quello che ha preceduto la violenza, quello che l’ha accompagnata, quello che la permette.

Ma la verità è semplice, e drammatica: nessuna pena potrà mai bastare se non viene prima insegnato il rispetto. Nessun carcere fermerà l’odio se non si interviene prima che quell’odio prenda forma. Per questo la repressione da sola non basta. Serve educazione, cultura; è necessaria una rivoluzione che parta dal linguaggio, dalla scuola, dai media, dai luoghi pubblici e istituzionali.

Il rispetto non è una variabile accessoria: è la base. E va insegnato ovunque. A scuola, fin dai primi anni, dove le relazioni affettive devono essere raccontate per quello che sono: incontri tra eguali, mai giochi di potere. Nelle università, dove la consapevolezza deve diventare struttura. Nei luoghi di lavoro, dove troppe volte la violenza è sottile, nascosta, accettata. Nei media, dove ogni parola conta, ogni narrazione può fare la differenza tra empatia e spettacolarizzazione.

Il femminicidio non è una “tragedia” imprevedibile. È l’esito finale di un percorso che comincia molto prima. Inizia nei “se l’è cercata”, nei “sono cose tra loro”, nei “era un bravo ragazzo, troppo innamorato”. Inizia ogni volta che si giustifica il controllo come premura, la gelosia come passione, la sopraffazione come normalità.

A Settala è morta una donna. Ma se non cambiamo rotta, a morire davvero sarà la nostra idea di civiltà. Possiamo ancora scegliere: punire, sì, con fermezza. Ma soprattutto prevenire. Coltivare una cultura che non lasci spazio al possesso, ma solo all’eguaglianza. È nelle nostre mani. E questa, sì, è una responsabilità che nessuno può più permettersi di ignorare.

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