Partita a fine agosto e diretta verso le coste di Gaza con l’intento di sfidare il blocco navale israeliano e consegnare aiuti umanitari (ne avevamo parlato qui), la missione umanitaria ha denunciato una (nuova) serie di attacchi sofisticati e deliberati condotti in acque internazionali: droni non identificati, esplosioni di ordigni stordenti, dispositivi incendiari, jamming elettronico e interferenze radiofoniche. Dopo i primi tentativi di frenare la navigazione avvenuti nello scorso maggio ed il 9 settembre s.c., nuove interferenze stanno mettendo a dura prova la riuscita dell’operazione della Sumud Flotilla. Secondo le testimonianze degli organizzatori, sono 11 le imbarcazioni che sarebbero state colpite dai nuovi attacchi, che si sono verificati in più fasi. Al momento non ci sarebbero feriti. “Ogni tentativo di intimidirci non fa che rafforzare il nostro impegno. Non ci lasceremo mettere a tacere. Continueremo a navigare”, hanno ribadito gli organizzatori, decisi a forzare il blocco navale imposto da Israele. Le prime segnalazioni sono emerse quando le barche erano ancora in navigazione vicino all’isola greca di Gavdos, mentre altri episodi sono stati denunciati nei pressi delle coste tunisine. In particolare, si parla di esplosioni nelle vicinanze delle imbarcazioni, lancio di ordigni dall’alto ma anche diffusione di musica ad alto volume su frequenze radio usate per la comunicazione tra le navi. Nessuna autorità ha ancora rivendicato ufficialmente la responsabilità delle azioni, ma i sospetti degli attivisti ricadono apertamente su Israele, che tuttavia non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali al riguardo, se non ribadire che non permetterà alle barche di raggiungere Gaza: “Questa flottiglia, organizzata da Hamas, è destinata a servire Hamas”. Questo in un comunicato diffuso dal ministero degli Esteri israeliano: “Israele non permetterà alle imbarcazioni di entrare in una zona di combattimento attiva e non consentirà la violazione di un blocco navale legittimo”. Nella nota viene sottolineato che “se il reale intento dei partecipanti alla flottiglia è quello di fornire aiuti umanitari e non servire Hamas, Israele invita le imbarcazioni a attraccare al Marina di Ashkelon e a scaricare lì gli aiuti, da dove saranno trasferiti prontamente in maniera coordinata nella Striscia di Gaza”. Tel Aviv ha perciò esortato i partecipanti “a non violare la legge e ad accettare la proposta israeliana per un trasferimento pacifico di eventuali aiuti in loro possesso”.
Israele ha dunque confermato un approccio duro nei confronti della Sumud Flotilla. All’inizio di settembre, il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, aveva presentato un piano al governo Netanyahu per contrastare la missione pro-palestinese, proponendo di trattare gli attivisti come terroristi. Secondo la nuova linea, i partecipanti alla flottiglia potrebbero essere detenuti a lungo termine nelle carceri di massima sicurezza di Ketziot e Damon, solitamente riservate a detenuti considerati ad alto rischio: “Chi sostiene il terrorismo dovrà affrontarne le conseguenze”, ha dichiarato Ben-Gvir, escludendo ogni trattamento di favore per gli attivisti internazionali coinvolti.
La risposta internazionale non si è fatta attendere. L’Italia ha inviato la fregata Fasan in missione di protezione e, proprio nella giornata di oggi, 25 settembre, ha confermato il dispiegamento di una seconda nave militare per assistere i propri cittadini presenti sulla flottiglia. Anche la Spagna ha scelto di intervenire, inviando un’unità navale dalla base di Cartagena per garantire, secondo quanto dichiarato, “la sicurezza del personale umanitario” e “il rispetto del diritto internazionale di navigazione”. Si tratta di una mossa politicamente significativa che, pur mantenendo toni diplomatici, marca una chiara presa di posizione rispetto alle pressioni esercitate dal governo israeliano per impedire alla flottiglia di raggiungere la Striscia.
La posizione dell’Italia, tuttavia, resta ambivalente. Da un lato, il governo ha dichiarato di voler proteggere i cittadini italiani coinvolti e di voler assicurare che gli aiuti umanitari arrivino a destinazione; dall’altro, ha espresso riserve sulla legittimità e sulla prudenza dell’operazione. Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dal vertice Onu di New York,ha infatti definito l’operazione “irresponsabile” in più dichiarazioni ufficiali mentre Matteo Salvini, vice presidente del Consiglio, ha rincarato definendo i partecipanti della Sumud Flotilla “signori in barca a vela che costano milioni di euro”. Come compromesso, Roma ha proposto un’alternativa diplomatica: sbarcare il carico umanitario a Cipro e affidarne la distribuzione al Patriarcato Latino di Gerusalemme, soluzione che, tuttavia, è stata respinta dagli organizzatori della flottiglia, che insistono sulla necessità di forzare simbolicamente il blocco imposto da Israele, così come ribadito nuovamente nell’ultima conferenza stampa.
L’intera vicenda ha riportato in primo piano il delicato equilibrio tra diritto internazionale marittimo, sicurezza nazionale e imperativi umanitari. Le acque internazionali sono, per definizione, uno spazio neutro in cui le navi civili godono del diritto di passaggio pacifico. Eventuali attacchi o interferenze da parte di soggetti statali configurerebbero una violazione delle convenzioni sul mare e dei principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. In questo contesto, le azioni denunciate dagli attivisti — se confermate da indagini indipendenti — potrebbero portare a conseguenze legali e diplomatiche importanti, fino alla richiesta di sanzioni o di risarcimenti internazionali. Il dibattito si estende anche alla legittimità del blocco navale stesso. Israele sostiene che il blocco, in vigore dal 2007, sia uno strumento di sicurezza per impedire il traffico di armi verso Hamas, ma molti giuristi e organizzazioni per i diritti umani ne contestano la proporzionalità e l’impatto sui civili palestinesi. Il caso della Flottiglia Sumud, che richiama alla memoria le tensioni già viste con la Mavi Marmara nel 2010, rilancia il tema dei limiti del potere coercitivo statale quando si contrappone a iniziative civili che rivendicano il diritto di agire in nome dell’umanità. In parallelo, cresce la pressione sull’Unione Europea e sulle Nazioni Unite affinché prendano una posizione chiara e coerente. Finora, Bruxelles ha rilasciato solo dichiarazioni generiche sul rispetto del diritto internazionale, mentre le agenzie umanitarie dell’ONU hanno chiesto garanzie per l’incolumità dei partecipanti alla flottiglia e l’apertura di corridoi umanitari verificabili. Tuttavia, l’assenza di un meccanismo rapido di indagine e la difficoltà di accertare la responsabilità degli attacchi rappresentano un ostacolo significativo all’azione multilaterale.
La Flottiglia Sumud resta comunque un simbolo tra chi la considera un atto di solidarietà civile e chi la descrive come una provocazione politica, sullo sfondo della grave gestione della crisi umanitaria a Gaza e la crescente distanza nelle dinamiche geopolitiche fra gli stati coinvolti.