Afghanistan, no alla donna intellettuale

Il 23 marzo, alle 7 del mattino, prima del rintocco della campanella di entrata a scuola, giunge di nuovo una notizia spiacevole e desolante per le studentesse afghane delle scuole superiori: non potranno più andare a scuola. Una decisione improvvisa che ha riportato il paese indietro nel tempo.

Eppure, quando i talebani avevano dichiarato che questa volta con il loro regime sarebbe stato tutto diverso, che non si sarebbero calpestati i diritti umani e soprattutto di riaprire le scuole per le ragazze, ci avevamo creduto.  Durante la loro ascesa definitiva, le scuole sono state chiuse anche per la pandemia. Poi, però, hanno ripreso le lezioni non solo le bambine dell’elementare ma anche quelle della scuola media. Martedì sera il declino: “Informiamo tutte le scuole superiori femminili e le scuole che hanno studentesse sopra il sesto anno che sono escluse fino a prossimo ordine”. Bentornati nelperiodo tra il 1996 ed il 2001.

Così, milioni di ragazze sopra una certa età sono state mandate via dalle lezioni dai talebani che hanno fatto irruzione con le pistole. C’è molta rabbia e delusione perché sono tante le scuse, tra cui rivisitare il codice di abbigliamento che deve essere consono alla legge della Sharia e alla cultura afghana. Per loro, adesso, l’unica speranza rimane la scuola clandestina, una realtà già esistente dall’arrivo dei talebani in agosto. Molte famiglie rischiano la vita per continuare a far studiare le proprie figlie: si organizzano classi negli scantinati di Kabul, vengono sigillate porte e finestre per non dare nell’occhio.  

Si fermano le donne perché per i talebani possono portare il cambiamento in società. Si sa, la donna è più forte e combattiva dell’uomo, dunque questo era l’unico mezzo – per il momento – con cui potevano fermarle. Un palese ritorno al passato, dove l’uomo è il capofamiglia e colui che capisce, la donna deve rammendare e fare i figli. Ricordiamoci che l’educazione è il pilastro del cambiamento sociale e dello sviluppo, dunque una priorità completamente diversa da quelle che hanno i talebani.

Un segnale che, tuttavia, dovevamo aspettarci perché non c’erano stati forti cambiamenti nel regime talebano caratterizzato da orrori, violenze e oppressioni. Non solo, si tratta proprio di una violazione alle pressioni internazionali di rispettare i diritti umani che con tanta fatica in venti anni gli afghani si erano guadagnati. Se tra le scuse, come abbiamo detto prima, c’era l’abbigliamento scolastico, è una presa in giro: secondo la vicepresidente della Fondazione Pangea Simona Lanzoni, le ragazze afghane per andare a scuola indossavano già un vestito nero ed un velo bianco.

Dunque, questo spiega anche come all’interno dell’attuale governo afghano ci siano diverse correnti di pensiero sull’istruzione femminile e quanto anche lo scenario attuale spostato prevalentemente (e giustamente) in Ucraina stia giocando a favore dei talebani. Adesso, l’Afghanistan non è più sotto controllo della comunità internazionale e chi paga le pene maggiori è la popolazione. Non si sanno bene molte informazioni, ma si pensa che per evitare che le bambine vadano a scuola ci siano stati anche casi di uccisioni e abusi.

Per giunta, è stata vietata anche la pratica dello sport per le ragazze perché non consono con l’esposizione del proprio corpo. «Non credo che alle donne sarà consentito di giocare a cricket, perché non è necessario che le donne giochino a cricket […] potrebbero dover affrontare situazioni in cui il loro viso o il loro corpo non siano coperti […] l’Islam non permette che le donne siano viste così», ha spiegato Ahmadullah Wasiq, vicecapo della Commissione cultura dei sedicenti studenti coranici. Oltre al danno, la beffa: questa è l’era dei media, quindi, per lui e le sue interpretazioni questo significa che la gente ha modo di vedere le donne come e quando vuole. Ma per le donne afghane, l’unico diritto consentito è quello di uscire di casa solo ed esclusivamente per soddisfare i bisogni essenziali, cioè andare a fare la spesa.

Regole e divieti che non sono stati apprezzati di certo da Khalida Popal, ex capitano della nazionale femminile di calcio dell’Afghanistan: «Lo sport è libertà: noi donne non smetteremo mai di lottare, anzi insieme brilleremo sempre di più». Attualmente, lei si trova in Danimarca da rifugiata e da lì promuove una campagna per far uscire le sue ex compagne. A riprova di questo, sono chiamate ad intervenire tutte le organizzazioni internazionali, tra cui l’Onu, per far pressione sui talebani e spingerli a reinserire alcune concessioni in cambio di aiuti alimentari e sanitari, settori in cui l’Afghanistan in questo momento sta avendo una pesante crisi.

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