Andrea Pomella ci porta a Edimburgo con Irvine Welsh

Quando ci si approccia a un libro come A Edimburgo con Irvine Welsh si è convinti di trovare il solito saggio, a tratti personale, a tratti no, con riferimenti ai cult di un autore che cult lo è grazie al primo romanzo, Trainspotting. È probabilmente il primo luogo comune cui si approda in maniera fin troppo ingenua quando si aprono le pagine di Andrea Pomella. Infatti, l’autore non parlerà mai di Welsh per come sarebbe abbastanza facile, ovvero analizzandone la scurrilità, la crudezza, la verità della narrazione. Che Welsh sia vero, crudo, grottesco a volte lo sa anche chi non lo ha letto, lo sa chi ha semplicemente visto il film Trainspotting. Quello che i più non sanno – e qualora lo sapessero qui se lo ritrovano illustrato con grande maestria – è il ruolo che la città di Edimburgo ha nei romanzi di Welsh.

Ciò avviene grazie a una collana, quella di Giulio Perrone Editore che si chiama Passaggi di dogana, che già ben si presta a un più originale punto di vista sugli autori e le città, ma diventa ancora più semplice coinvolgersi e coinvolgere dentro Edimburgo perché l’autore ha ben chiaro nella sua formazione e nel suo stile ciò di cui sta parlando. L’Edimburgo presentata è subito accostata alle pagine dei libri di Welsh, ma anche a diverse forme d’arte. Quasi subito Pomella richiama ad esempio un quadro presente a Palazzo Pitti, dipinto da Telemaco Signorini e che raffigura

Una veduta di leith, dove il pittore soggiornò nel 1881 […]. La scena si svolge in strada. Viene dato grande risalto a un manifesto col nome del leggendario Rob Roy, il bandito di Scozia che nel 1715 combatté gli inglesi per l’indipendenza delle Highlands.

Dal quadro si confronta il Settecento e poi l’Ottocento di Leith come è raccontata ad esempio da Stevenson, e poi da Welsh con gli avanzi di galera del suo universo profondamente egualitario, nel senso che i suoi protagonisti sono tutti egualmente nella merda. Senza mezzi termini Pomella ci dice questo, ma fugge dalla tentazione di puntare l’attenzione su quei luoghi comuni cui ci riferivamo all’inizio. Questi non sono criminali affascinanti in quanto anti-eroi e nulla più, non sono idealizzati alternativi i cui avatar potrebbero pullulare su Instagram e TikTok e, se anche lo fanno o facessero, non è questo il punto o la natura di Edimburgo. Non è apparenza, ma essenza di oscurità, forse è una Gotham o forse è un incubo.

Se Stevenson ha raccontato le leggende dietro Edimburgo, piena di crimini, cornamuse e suoni nei romanzi di Welsh ma già cent’anni prima che Welsh ne scriva inquietante, Pomella spiega al lettore quanto ciò che sembra scandalo come il sesso, la droga, e più in generale la dipendenza sia nel profondo un grimaldello irrinunciabile di un autore che non vuole scandalizzare, ma raccontare anche le cose più sconcertanti della società, come dirà Welsh quando si difenderà dalle accuse di sessismo che gli saranno mosse, come a Philip Roth. La dipendenza è una faccia di una medaglia che non è lontana da noi, e anzi riguardo alla quale dovremmo cominciare a migliorare le nostre narrazioni, specie in Italia e specie riguardo alla droga. Fu un caso molto particolare, triste exemplum di ciò, il modus operandi di diversi titolisti nel dare la notizia della morte di Libero Di Rienzo, attore scomparso in seguito ad un arresto cardiorespiratorio per intossicazione acuta da eroina. Trapelò un’immagine del “drogato” e dipendente in modo volutamente sensazionalistico che toglieva umanità a una vicenda che è sicuramente umana. Oltre alla droga nei romanzi di Welsh la dipendenza è invece trattata a trecentosessanta gradi e rappresenta la fragilità dell’uomo ma anche un modo per analizzare la società stessa, come Pomella analizza brillantemente.

L’umanità descritta da Welsh è sempre dipendente da qualcosa. Che sia droga o sesso non fa tanta differenza. Tra le sue pagine, la dipendenza appare come la più riflettente superficie in cui far riverberare la società contemporanea, una società che non combatte le ossessioni, semmai le incentiva a ciclo continuo, secondo una formula consumistica.

Anche sulle accuse di sessismo in tal senso Pomella interviene in modo puntuale, poiché anche il sesso, anche la donna e il corpo femminile sono ossessioni in cui la misoginia è obiettivamente presente, e va quindi narrata. Il sesso non è strumento di potere femminile, come invece avveniva – accostamento brillante fatto da Pomella – in Aristofane, quando nella Lisistrata addirittura queste scioperano dal sesso, ma è un modo per inferire nelle debolezze umane, tutte, nessuna esclusa. Anche qui si inserisce la città di Edimburgo in quanto sul sesso degli edimburghesi – Pomella cita anche un sito internet a riguardo – si fanno riferimenti sul web spesso con un linguaggio esplicito, che è quello di Welsh ed è ancora estremamente contemporaneo, come lo sono purtroppo i morti, se guardiamo, ci dice Pomella, alle statistiche.

All’interno di questo piccolo libretto allora non troviamo solamente la narrazione di Edimburgo applicata a Welsh, quanto una riflessione su chi siamo, su chi possiamo essere quando finiamo nel baratro o, come direbbe Welsh, nella merda. Il luogo comune su quanto sia grottesco o, per meglio dire weird, e alternativo Welsh ha qualcosa di vero, ma se sapremo cogliere l’anima della sua Edimburgo capiremo quanto davvero ci sia di più. In tal senso Andrea Pomella è un Virgilio inestimabile e irrinunciabile per intraprendere il nostro personale viaggio nell’Inferno.

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