Israele e Gaza, il sangue dei civili

C’è una linea di confine sottile tra chi osserva la realtà, constatando i fatti, e chi prende posizione per partito preso, ideologicamente. Il 7 ottobre 2023, data della quale oggi si ricorda il secondo anniversario, ha spezzato quel confine sottile. Si sono formate fazioni fra chi, proclamatosi di destra, ha difeso e difende ancora oggi gli attacchi di Israele ai danni della popolazione civile palestinese, e chi, invece di sinistra, è strenuo sostenitore della causa di Gaza. Contrapposizioni, spesso, nate da un voto espresso in urna nazionale, senza necessariamente una concordanza geopolitica quando l’opinione varca i confini della politica del proprio Paese. Sarebbe sciocco dimenticare la strage orrenda perpetrata dai terroristi di Hamas, è parimenti bieco chiudere gli occhi dinnanzi alle atrocità che da due anni – contestualizzando la situazione ai tempi recenti – il governo di Netanyahu compie ai danni di civili innocenti. 

Due anni fa si è consumato un pogrom, il secondo più violento nella storia del popolo ebraico, dopo la Shoah. Come accade ogniqualvolta un fatto scuote il mondo o una parte di esso, gli equilibri internazionali cambiano: affermare che le dinamiche tra Occidente e Oriente siano mutate da quel giorno non è illusione giornalistica, bensì realtà cruda. Un attacco a sorpresa da Gaza, ordito dai terroristi di Hamas, uccise circa 1200 persone, tra razzi, rapimenti e soprattutto l’attacco infame al festival “Nova”, dove centinaia di persone erano radunate per trascorrere del tempo libero. Ostaggi rapiti, se ne contano oltre duecento, che in parte sarebbero già morti. Che si sia levata una condanna unita da parte dell’Occidente è stato un bene; gli USA in prima linea con l’ex presidente Biden e Blinken, che è stato una figura chiave nella gestione della crisi israelo-palestinese. L’Unione Europea, allora come oggi, una voce stonata e rumorosa nel panorama internazionale. Ciò per ricordare che tutti insieme si sono schierati dalla parte di un Israele offeso. Quanto accaduto di lì in avanti, tuttavia, è stato completamente sproporzionato e contrario a qualunque forma di umanità secondo diritto e secondo morale. 

Da quel momento, infatti, non c’è stata tregua per il popolo palestinese. E questo dobbiamo dircelo, e ricordarlo a coloro che di una moneta guardano solamente una faccia. La Commissione d’indagine indipendente ONU, istituita dal Consiglio per i Diritti Umani, il 16 settembre scorso ha affermato che Israele sta compiendo un genocidio a Gaza. Pur mancando una decisione giudiziaria definitiva, non si può restare inermi davanti al sangue degli innocenti. Anche soltanto per un principio di coerenza molto semplice: se ci si indigna per i civili israeliani uccisi, si deve fare lo stesso per quelli palestinesi – che sono molti di più. Oppure perché ci si ribella alla legge del più forte che sovrasta il più debole; sin da bambini, veniamo educati al rispetto degli altri e all’ostracizzazione del bullo. Israele, in questo momento, è assai di più. Non rispetta i diritti umani, i trattati internazionali, le tregue, l’istituzione di corridoi umanitari che realmente possano essere utili all’esodo di civili, impone la propria legge con la forza. Proprio Israele, che esiste grazie a una “legge” (una serie di atti giuridici) nel secondo dopoguerra, un fondamento giuridico internazionale multilivello che si basa sulla Risoluzione 181, “due popoli due Stati”. Che di fatto ha dato stabilità a un popolo e a uno Stato. 

Pertanto, ricordare il 7 ottobre è doveroso, poiché il terrorismo va combattuto, ma la guerra andrebbe divisa. Se proprio adoperata, divisa: colpevoli e innocenti. Portare guerra ai colpevoli può essere una soluzione, ma farlo nei confronti degli innocenti è un atto di sopraffazione aberrante che tutti dovrebbero condannare. Tutti, o chi abbia in sé un briciolo di intelligenza. 

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