La geopolitica del Covid-19 insieme a Salvatore Santangelo

Le prospettive geopolitiche e i rapporti tra gli Stati durante il Covid-19.

Cosa cambierà nelle relazioni internazionali tra Cina e Occidente? Come muteranno le posizioni sullo scacchiere economico mondiale?

Risponde Salvatore Santangelo, professore di Geopolitica all’Università di Tor Vergata, giornalista professionista, esperto di politica internazionale e storia del Novecento, autore dei saggi Babel e GeRussia.

Iniziamo esattamente da dove tutto è partito, ovvero dalla Cina. Uno dei maggiori problemi istituzionali cinesi è il mancato dialogo tra i piani alti, le amministrazioni locali e la popolazione. Si tratta di un sistema di comunicazione controllato e a senso unico, attraverso il quale il Governo da sempre ha imposto le proprie direttive ai cittadini.

Quanto ha influito tale aspetto nella propagazione del Covid-19?

Problema istituzionale? Governare un miliardo e mezzo di abitanti senza nessuna precedente storia democratica, un Paese-Continente che nella sua millenaria storia ha avuto un corollario di separatismi e guerre civili (l’ultima delle quali combattuta appena settant’anni fa), farne una potenza mondiale in appena quarant’anni è di per sé un’impresa titanica. Quindi – pur con tutta la siderale distanza valoriale con quel sistema totalitario – occorre riconoscerne gli straordinari traguardi economici, sociali, tecnologici e militari. Tra l’altro, nell’arco di un ventennio, da quando fu coniato il termine Brics (Brasile, India, Cina, Russia e Sud Africa), la Cina è stato l’unico tra quei Paesi a mantenere tutte le promesse e il paragone – in termini di lotta alla povertà che all’analfabetismo – nei confronti del suo vicino indiano è ancora più impressionante: basti pensare al fatto che il 99 per cento della popolazione cinese ha la possibilità di usufruire di un sistema fognario efficiente e che le immagini degli slum indiani, con la loro miseria e violenza, sono impensabili in Cina. Fatte queste doverose premesse, è chiaro che per noi è fondamentale rimanere ancorati alla cornice democratica, nel quadro di un’economia liberale contemperata da una giusta dimensione sociale e quindi batterci contro tutte le opacità (e le menzogne) del regime di Pechino, le sue spregiudicate (quando non apertamente illegali) pratiche di dumping sociale, commerciale e ambientale. La storia dell’esplosione della Pandemia da Covid-19 è ancora tutta da scrivere; quello che appare evidente è che Paesi come la Cina, la Corea del Sud, il Giappone, Singapore e Taiwan sono riusciti a gestire meglio di altri la difficile situazione grazie a un perfetto mix di innovazione tecnologica e disciplina sociale (chiaramente con un diverso dosaggio dei due ingredienti) al punto che oggi sembrano riusciti a soffocare la Pandemia. Sfortunatamente, gli Usa e gran parte degli Stati europei si sono mossi in netto ritardo così da non riuscire a contenere il Covid-19 nelle sue fasi iniziali e, al momento, possono solo cercare di limitare il dilagare del contagio; ma, nel farlo, sembra che stiano ripetendo quegli stessi errori iniziali che in Italia hanno reso la Pandemia un vero e proprio disastro: nel giro di pochissimo tempo il nostro Paese – proprio per l’indecisione e la gradualità degli interventi – è stato colpito da un violentissimo tsunami, costellato da un quotidiano stillicidio di morti; e oggi siamo di fronte alla più grande crisi mai affrontata dal Secondo conflitto mondiale.

Tuttavia, in una situazione tanto complessa quanto incerta, non dobbiamo dare niente per scontato; perciò, è possibile che la Cina, essendo stata la prima grande vittima della pandemia e avendola sconfitta in anticipo rispetto agli altri Stati, possa uscire a testa alta e sfruttare a proprio vantaggio economico la ripresa dalla crisi? Anche nel 2008 avvenne una grave recessione economica, eppure la Cina ne uscì ingigantita.

Si tratta di uno scenario assolutamente plausibile.

In Europa la situazione è molto incerta: in poco tempo l’Italia è divenuta l’untore del mondo agli occhi degli altri ed è stata costretta ad affrontare una situazione nuova ed emergenziale. Che, peraltro, non ha tardato ad arrivare anche nel resto dell’Unione. La mossa di chiudere le frontiere esterne dell’UE può aiutare a limitare il contagio, ma deve bilanciarsi con un’occlusione dell’economia e dell’import/export degli Stati. Come si risolve tale bilanciamento? L’economia degli Stati membri, in una formazione “a testuggine”, fino a che punto sarà danneggiata?

Ci muoviamo in un territorio assolutamente inesplorato, ma tutti abbiamo la percezione – più o meno chiara – che il Covid-19 sarà il cigno nero che metterà all’angolo quella che Ulrich Beck ha battezzato come la “Società del rischio”. E all’attuale emergenza sanitaria, nei prossimi mesi, si unirà una recessione globale. Si tratterà di una crisi ancor più devastante di quella del 2008 perché, in questo caso, impatterà sia sul versante dell’offerta che della produzione. Tutto ciò segnerà un netto spartiacque tra un prima e un dopo. Quindi, insieme a strumenti di politica monetaria non convenzionali di entità mai vista prima, forse neanche al tempo del New Deal, sono sempre più convinto, e la Germania lo dimostra, che usciremo dalla crisi solo grazie a un nuovo modello di Economia sociale di mercato, dove il mondo del lavoro sia saldamente ancorato al sistema sociale.

A oggi, l’unica certezza che abbiamo è che un approccio efficace contro il Covid19 deve essere pari a una mobilitazione bellica nei termini delle risorse umane ed economiche disponibili, della piena consapevolezza dell’opinione pubblica, di un efficace coordinamento tra pubblico e privato.

Negli Usa, Walmart e le altre principali catene di grande distribuzione hanno annunciato che assumeranno 600mila nuovi addetti per evitare file nei propri store. Più persone con più casse provvisorie, distanziate e merci non deperibili smistate nei parcheggi. Nel frattempo, in una sola settimana, Amazon Usa ha incrementato la propria forza lavoro di 110mila unità. Inoltre Bezos ha annunciato il raddoppio della paga oraria per gli addetti alla logistica (dal 15 marzo all’8 maggio) fino a una volta e mezza in più rispetto a quella attuale che è 17 dollari l’ora. Il presidente Trump dopo i tentennamenti iniziali ha dato indicazione al sistema produttivo di riconvertirsi per rispondere alla sfida attuale. La reazione dell’Europa appare complessivamente molto più timida.

Quindi, per concludere, i decisori politici devono essere pronti ad adottare una risposta sistemica, aperta all’apprendimento e dopo aver scartato rapidamente gli approcci fallimentari, “scalare” massicciamente quegli esperimenti che ci hanno restituito feedback positivi.

L’Italia ha ricevuto molti aiuti dalla Cina: Huawei ambisce a creare una rete per mettere in contatto le strutture ospedaliere; Jack Ma (fondatore di Alibaba) ha donato all’Europa 1.8 milioni di mascherine (500.000 affidate all’Italia); la Croce Rossa cinese ha messo a disposizione personale medico e ha effettuato molte donazioni di materiale (30 tonnellate circa).

Ricordiamo, però, che la Cina ha molti interessi in ballo con l’Italia. Uno tra tutti l’impegno nella sperimentazione del 5G sul suolo italiano, nonché l’adesione di Roma alla BRI.

Si tratta di aiuti liberali o dietro alla maschera si cela uno Stato animato solo da interessi propri?

Pur ringraziando di cuore tutti coloro che stanno supportando il nostro Paese in questo difficile frangente, andrebbe fatta una considerazione: si invocava il sovranismo e ci siamo trovati in casa Cina, Russia e Cuba, neanche fossimo una specie di Haiti europea. Il Centro Studi “Geopoliticainfo” – con i suoi analisti di punta, Gabriele Natalizia e Alessandro Ricci – ha perfettamente evidenziato tutte le problematicità della dinamica da te sottolineata. Il problema è l’ambiguità di fondo che circonda le scelte italiane nel campo delle relazioni internazionali.

Molti pezzi del sistema-Paese si muovono con un’inerzia che arriva dalla stagione della Guerra Fredda, ritenendo che l’Italia goda tutt’ora – come all’epoca- di ampi margini di manovra, senza rendersi conto che nel mondo post ’89 questi margini si sono progressivamente ristretti e che ora le ambiguità vengono pesantemente sanzionate.

Infine, la grande sfida è trovare il vaccino. Trump era già pronto ad accaparrarsi la società tedesca CureVac, che sta provando a sviluppare l’antidoto. Angela Merkel, però, ha sbarrato la porta agli americani.

In termini di economia, prestigio e posizionamento sullo scacchiere internazionale, quanto conterà trovare per primi la cura all’epidemia? E chi arriverà per primo, avrà più oneri o più onori?

La competizione del futuro si svolgerà sempre più sulla qualità del capitale umano dei singoli Paesi (come ho scritto in un mio saggio “Innovazione e potere mondiale”). Vincerà chi riuscirà a massimizzare appunto dall’investimento sul capitale umano, dalla promozione dell’impresa attraverso la creazione di una base industriale nuova, più moderna e competitiva (in questo senso la sfida si misurerà appunto sulle biotecnologie, sui calcolatori quantistici, sull’intelligenza artificiale e sulla capacità di collezionare e analizzare dosi sempre più massicce di dati), e infine dalla trasformazione del vecchio Stato sociale in una nuova rete di solidarietà, diffusa nella società e incentrata sui reali bisogni dei cittadini oltre che sul loro diritto di scelta. E nel dare ai propri traguardi sociali, culturali, economici anche un’appetibilità nello scacchiere globale grazie a quella che Joseph Nye ha definito Smart Power.

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