La Valle dell’Eden: predestinazione, senso di colpa e libertà di scegliere

La valle dell’Eden, romanzo di John Steinbeck (1952), viene definito dai critici letterari come una saga famigliare. Tuttavia il romanzo, uno dei più grandi della letteratura americana, si pone come un dramma allegorico, in cui personaggi ed eventi rimandano a una moltitudine di simboli, in cui forti sono anche i rimandi alla Bibbia. Lo si percepisce sin dal titolo inglese, East of Eden, preso dal Libro della Genesi: “Caino si allontanò dal Signore e abitò nei paesi di Nord, a oriente di Eden”. Seppur non ci siano corrispondenze univoche tra La valle dell’Eden e la Bibbia, un forte legame si crea se si pensa alle iniziali dei nomi dei personaggi: Adam, Aron, Abra e poi Cyrus, Cathy, Charles. I primi buoni e i secondi cattivi. Come Abele e Caino.

Il romanzo, come la realtà umana, si regge su due forze che si scontrano: il bene e il male. Una lotta che porta con sé una serie di conseguenze, tra cui il senso di colpa, che viene analizzata nel contesto della famiglia. Steinbeck porta alla luce le dinamiche dei rapporti tra genitori e figli, soprattutto tra padre e figli e poi tra fratelli. Nel primo caso prevale la volontà di piacere alla figura paterna. Si lotta per l’amore del padre, per renderlo orgoglioso fino a procurare il male al fratello. Si tenta di uccidere l’altro per ricevere l’affetto che si ritiene di meritare. Questo accade tra Adam e Charles, ma anche tra Aron e Caleb, figli del primo. In entrambi i casi si ritorna alla storia di Abele e Caino. Charles tenta di uccidere Adam, fino a lasciarlo quasi senza vita. Una continua lotta per un padre che in realtà non ha preferenze per nessuno dei due, forse troppo assente per entrambi.

Si percepisce il successo come affermazione di sé e per raggiungerlo si mente alla fine prevale l’apparenza invece che l’io. Charles e poi Caleb (forse figlio di Charles e non di Adam) sono legati da forti ambizioni e aspirazioni. Vogliono raggiungere il potere non solo nei confronti delle rispettive figure paterne, ma anche economico. Lavorano fortemente la terra, ambiscono anche al denaro, si percepisce anche un forte senso di riscatto. Essere riconosciuti, essere amati, l’invidia e poi il denaro: questi sono i tre elementi che creano i legami e gli scontri in questo romanzo.

In questa gabbia di sentimenti contrastanti tra loro, in questo conflitto tra forze potenti, l’essere umano ha solo un dovere a esercitare, il più impegnativo e doloroso: scegliere. Il libero arbitrio. Centrale è capitolo 24 in cui Lee, servitore cinese in casa di Adam Trask, quest’ultimo e Samuel Hamilton, discutono riguardo l’insegnamento da trattare dalla storia di Caino e Abele. Ciò che spezza il determinismo nella versione ebraica è la parola timshel. Dio offre a Caino la possibilità di scegliere. Tu puoi. Si afferma il libero arbitrio e con questo l’uomo può farsi del bene, ma anche del male.

I personaggi e le storie qui narrate ci insegnano il vero senso della scelta e della libertà, ma permettono di focalizzarsi su un altro elemento importante: si può scegliere di fuggire, come nel caso di Cathy, di seguire le proprie ambizioni, i propri sogni, desideri. Ma il passato non si cancella, fuggire non serve a eliminare le tracce dei propri dolori e di quelli altrui. Ed è qui che a un certo punto prevale il senso di colpa. Perché alla fine si può essere veramente liberi solo dopo aver fatto i conti con se stessi e con il proprio passato. Questo, forse, è il vero successo.

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