L’impeachment mancato. Una riflessione sulla salute della democrazia Americana

“La grave domanda a cui la Costituzione ha incaricato i senatori di rispondere è se il presidente ha commesso un atto così estremo ed eclatante da essere considerato come alto crimine e delitto. Sì, lo ha fatto. Il presidente ha chiesto ad un governo straniero di indagare un suo rivale politico. Il presidente ha trattenuto importanti fondi militari da quel governo per sollecitarlo a compiere ciò. Il presidente ha ritardato i fondi per un alleato americano in guerra con gli invasori russi. Lo scopo del presidente era personale e politico.”

Le parole del senatore Mitt Romney, primo nella storia a votare per un articolo di impeachment di un presidente facente parte del suo stesso partito, colgono l’essenza del dettato dell’articolo II sezione 4 della Costituzione degli Stati Uniti: “Il Presidente, il Vicepresidente e tutti gli ufficiali civili degli Stati Uniti saranno rimossi dall’incarico su Impeachment a causa di, e su condanna per, tradimento, corruzione o altri crimini e misfatti”. Trump era stato mandato a processo da parte della Camera dei rappresentanti (a maggioranza Dem) con le pesanti accuse di abuso di potere ed ostruzione al Congresso. Tuttavia, il Senato a maggioranza Repubblicana ha convintamente respinto entrambe le accuse, decretando Trump innocente.

Al di là di giudizi politici, tale sentenza offre al mondo l’immagine di una fase di debolezza del sistema democratico americano nel suo complesso. Accanto al compito fondamentale di garantire diritti, doveri e libertà ai cittadini, l’obiettivo di ogni democrazia dovrebbe essere volto a garantire con fermezza il rispetto e l’applicazione delle regole e dei principi democratici. Chi sostiene che questo processo si sia svolto nell’ottica di indagare qualora questi ultimi siano stati osservati o meno da Trump, non comprende l’intenzione originaria dei “founding fathers” di dotarsi di strumenti adatti a correggere gravi ed intollerabili inosservanze per chi ricopre i ruoli apicali dello Stato. Nessuno, e specialmente la figura del Presidente, si può ritenere al di sopra della legge.

Il valore storico di questo esito non fa sconti: non ai Democrats, rei sia di essersi spostati sempre più sul livello del proprio avversario (da ultimo il gesto poco istituzionale da parte della speaker della Camera, Nancy Pelosi, di strappare il discorso sullo Stato dell’Unione), sia di aver fallito nel far nascere un “uprising” delle coscienze dei cittadini americani prossimi al voto; di certo non ai Republicans, partito che sembra un parente lontano di quello moderato e risoluto di Reagan, incapace di darsi un senso al di fuori dei modi e dei contenuti di un leader vincente, ma divisivo ed a tratti inaffidabile. Un esempio tangibile di questa trasformazione è stata la decisione da parte della maggioranza di non accettare nuove testimonianze oltre a quelle già determinate prima delle udienze, in modo da concludere rapidamente e senza colpi di scena un’accusa che già aveva poche possibilità di risultare efficace. Per riuscire a “licenziare” Trump i Democrats avrebbero avuto bisogno dei due terzi dei voti del Senato, in pratica una missione impossibile.

Dal Senato degli Stati Uniti si ha la percezione di un paese disinteressato a fare veramente luce sulle azioni di chi lo governa, dove la verità viene considerata sacrificabile se il rischio di perseguirla si traduce nella perdita di potere, ed insicuro a quale versione dei fatti credere. Chiunque vincerà questo novembre avrà il compito di far tornare l’America grande non solo in campo economico (dove si è già visto un insperato cambio di passo), ma anche e soprattutto nella componente fondamentale che l’ha elevata a nazione guida del mondo occidentale: l’etica dell’anteporre a tutto il rispetto ed il valore delle sue regole democratiche.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here