Lo Stretto di Hormuz nel conflitto Iran-Usa: un termometro della tensione globale

L’avvicendarsi della guerra in Iran a seguito dell’attacco israeliano prima e statunitense poi ha sottolineato nuovamente l’importanza strategica dello Stretto di Hormuz, fondamentale per i traffici commerciali mondiali, in particolare per l’approvvigionamento di petrolio

Con i suoi 150 chilometri di lunghezza ed una larghezza che oscilla tra i 39 Km (nel suo punto più stretto) fino ai 96 Km, lo Stretto di Hormuz rappresenta da sempre uno degli snodi strategici più importanti del pianeta, non solo per il traffico commerciale del petrolio ma anche per tutti gli equilibri ed interessi internazionali. Questo corridoio portuale, definito “collo di bottiglia marittimo” – (maritime chokepoint) in gergo geopolitico – che separa il Golfo Persico dal Golfo di Oman, è attraversato ogni giorno dal 20% circa del petrolio mondiale e secondo la U.S. Energy Information Administration, vi transitano circa tra i 17 ed i 20 milioni di barili di petrolio al giorno (bpd), oltre a milioni di metri cubi di gas naturale liquefatto. Attraversato quotidianamente da petroliere di Arabia Saudita, Iraq, Emirati Arabi Uniti, Qatar e dallo stesso Iran dirette verso Asia, Europa e Nord America, considerato uno dei punti più sensibili della geografia energetica globale, con l’Iran sotto pressione e le tensioni regionali in escalation, rappresenta il punto focale su cui Teheran fa confluire ricatti e pressioni finalizzate a strette ricadute nel contesto di guerra, preoccupando governi, analisti e mercati internazionali.

Uno snodo strategico sotto minaccia

Lo Stretto di Hormuz ha sempre avuto un ruolo centrale nella strategia energetica globale. Per l’Iran, rappresenta anche un’arma geopolitica: più volte, nel corso degli anni, Teheran ha minacciato di bloccarne il transito come ritorsione contro le sanzioni occidentali. L’attacco americano contro postazioni militari iraniane, avvenuto nella notte tra il 20 e il 21 giugno – in risposta a presunti attacchi di Teheran contro navi statunitensi nel Golfo – ha scatenato una nuova crisi regionale, con potenziali ripercussioni globali, riaprendo nel concreto alla possibilità di una chiusura dello Stretto o di sabotaggi mirati contro petroliere e infrastrutture energetiche. Teheran ha definito l’azione americana “una violazione flagrante del diritto internazionale” e ha promesso ritorsioni “proporzionate e coordinate” minacciando la chiusura di Hormuz a discapito non solo statunitense. Intanto, nel Golfo Persico si addensano le navi militari, i mercati reagiscono con nervosismo e le cancellerie mondiali tentano una difficile mediazione. Se il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) ha già rafforzato la propria presenza navale nell’area mentre gli USA hanno dispiegato ulteriori unità della V Flotta in Bahrain, si teme, piuttosto che un conflitto convenzionale, una guerra asimmetrica, fatta cioè di attacchi mirati a infrastrutture petrolifere, sabotaggi, cyber-operazioni e utilizzo di droni e mine sottomarine. Una situazione che ricorda, per molti versi, le tensioni del 2019, ma che oggi appare più grave per la volontà dichiarata dell’Iran di “reagire senza limiti” all’azione americana su più fronti.

La risposta internazionale: tra diplomazia e deterrenza

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è riunito d’urgenza, con un appello – per ora disatteso – alla de-escalation. L’Unione Europea ha condannato l’attacco ma ha anche sollecitato l’Iran a evitare “azioni sproporzionate che possano mettere a rischio la sicurezza energetica globale”. Più ambigua la posizione di Cina e Russia. Pechino, primo importatore di petrolio iraniano, ha accusato Washington di “aggressione unilaterale”, mentre la Russia ha parlato di “atto irresponsabile che può portare alla destabilizzazione dell’intera regione mediorientale”. Più decisa la reazione dei Paesi del Golfo, che temono di essere coinvolti in eventuali attacchi di rappresaglia. L’Arabia Saudita ha aumentato le difese sulle proprie installazioni petrolifere, consapevole del rischio di attacchi aerei o missilistici iraniani come quelli del 2019 contro gli impianti di Abqaiq. Israele, nel frattempo, ha alzato il livello di allerta massima lungo i confini con Libano e Siria, temendo un effetto domino tramite le milizie sciite filo-iraniane.

Effetti sui mercati: prezzo del petrolio e instabilità globale

Se al momento la strategia di Teheran non è chiara, nonostante le minacce di una chiusura, le reazioni dei mercati non si sono fatte attendere, con il Brent che ha superato i 102 dollari al barile, toccando il massimo degli ultimi due anni, le borse asiatiche che hanno aperto in calo e le compagnie marittime che stanno iniziando a rivedere le rotte, temendo mine, droni e razzi nelle acque dello Stretto. Non è detto infatti che l’unica azione possibile da parte iraniana sia il blocco dello Stretto: potrebbe decidere di rendere il passaggio poco sicuro come d’altro canto è avvenuto recentemente, quando il 15 giugno due petroliere sono entrate in collisione nel Golfo di Oman, non lontano da Hormuz. In effetti, la decisione finale su un’eventuale chiusura totale (o parziale) dello Stretto spetta al CSI (il Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale) che opera sotto l’autorità diretta di Ali Khamenei (la Guida Suprema). In ogni caso, ogni mossa in questo senso da parte iraniana comporterebbe gravi conseguenze e rischi elevati a livello globale: renderebbe complicato l’approvvigionamento verso L’Europa, verso la Russia e verso la Cina (l’Asia ne dipende per circa l’80%) facendo schizzare il prezzo del greggio con evidenti ripercussioni economiche e danni inflazionistici e costringerebbe a rivedere la mappa degli approvvigionamenti e delle relative relazioni e concordati con conseguente isolamento della  Repubblica Islamica, già segnata da un contesto di sanzioni e tensioni. Anche l’Europa, ovviamente, risentirebbe di possibili impatti negativi, già provata, fra l’altro, dal sacrificio per gli approvvigionamenti della guerra in Ucraina. Gilberto Pichetto Fratin, nostroministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, in un’intervista a La Verità, ha messo in guardia sui possibili rischi per l’Italia: “Rischiamo un calo del 20% di gas e del 30% di petrolio. Le forniture alternative ci sono, ma pagheremmo prezzi più alti e saremmo esposti a dinamiche speculative”. Mentre dunque il governo studia misure emergenziali, le prospettive sono quelle di un equilibrio sempre più fragile, dettato da delicatissimi contrappesi e bilanciamenti, con Teheran che sa perfettamente di poter contare su di un preziosissimo tavolo negoziale, sul quale si giocherebbe la reale coesione occidentale che dovrebbe contrastare la pressione dei mercati energetici e finanziari già in forte instabilità.

Prospettive e rischi reali

L’attacco americano segna un punto di svolta nella lunga tensione tra Washington e Teheran. Se è vero che lo Stretto non è mai stato chiuso nella storia moderna, nonostante le numerose minacce, è l’attuale livello di crisi che preoccupa: la stessa arriva in un momento di estrema polarizzazione internazionale, con gli Stati Uniti sempre più coinvolti in scenari multipli – dall’Indo-Pacifico all’Europa dell’Est – e con un Iran più isolato ma anche più imprevedibile. Se da un lato il Pentagono afferma di “non cercare una guerra” ma di aver sollecitato l’Iran circa una risposta sul nucleare, dall’altra la dinamica delle ritorsioni e dei calcoli sbagliati potrebbe portare a un’escalation fuori controllo. Ed ancora: se da un lato il vicepresidente statunitense JD Vance afferma che sarebbe un suicidio per l’Iran la chiusura dello Stretto perché “La loro intera economia passa attraverso lo Stretto di Hormuz. Se vogliono distruggere la loro economia e causare disordini nel mondo, credo che la decisione spetti a loro, ma perché dovrebbero farlo? Non credo che abbia alcun senso”, dall’altra il segretario di Stato americano Marco Rubio ha invitato la Cina a sollecitare l’Iran a non chiudere lo Stretto di Hormuz in risposta agli attacchi di Washington contro i siti nucleari di Teheran. “Incoraggio il governo cinese a contattarli in merito, perché dipendono fortemente dallo Stretto di Hormuz per il loro petrolio”, ha detto Rubio parlando a Fox News. Questo proprio poco dopo che il Parlamento iraniano ha approvato il blocco strategico dello Stretto demandandone la decisione finale al Consiglio supremo di sicurezza nazionale. L’incertezza prevale, i mercati la riflettono, la diplomazia arranca, gli interessi nazionali pressano per emergere mentre, come spesso nella sua storia turbolenta, lo Stretto di Hormuz si prefigura non soltanto come una rotta commerciale, ma resta uno specchio dei rischi geopolitici del nostro tempo.

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