Nuovi orizzonti nella Terra di Mezzo: La Compagnia dell’Anello diventa un Audible letto da Massimo Popolizio

Nell’Arena Bookstock del Lingotto si accalca un pubblico di elfi coronati da diademi luminosi; ornati di blu elettrico, sono attratti verso il palco dal suono irresistibile di un dolce incantesimo… No, non è favola, ma Un viaggio nella Terra di Mezzo: l’appuntamento con Massimo Popolizio al Salone Internazionale del Libro 2024. Grazie alla magia della tecnologia di Audible (che ha messo a disposizione le cuffie/diademi), la platea ha potuto assaporare alcuni estratti del primo audiolibro della più celebre trilogia tolkieniana, La Compagnia dell’Anello; e tutto dalla viva voce dell’attore e doppiatore che ha animato la nuova traduzione Bompiani a opera di Ottavio Fatica.

Ma l’eroe di una storia non è tale senza un bardo che narri le sue gesta: è Vanni Santoni che ci guida nell’avventura. E lo fa, prima di tutto, introducendo “una delle grandi opere del nostro tempo, una parte cruciale del Canone Occidentale”: Il Signore degli Anelli. Per gli appassionati del genere sembrerà un elogio scontato, ma il fantasy è sempre stato guardato con diffidenza dai lettori e dagli scrittori “seri”, paladini del mainstream. Eppure Tolkien, guardando oltre il reale, ha dimostrato che immaginare mondi inesistenti può aprire a nuove strade senza tradire l’autenticità dell’esperienza umana. Come ricorda Santoni ripercorrendo alcune tappe romanzesche della crisi della modernità, già la Bovary di Flaubert è sintomo di una letteratura a cui la realtà così com’è non basta più; e poi l’Ulysses di Joyce satura anche il mondo interiore; finché con la surrealtà di Kafka si parla della “morte del romanzo”.

L’universo fantastico – con i suoi nani e orchi, elfi e stregoni, forze invisibili e orrori cosmici – apre un vero e proprio squarcio nel mondo bidimensionale in cui rischiamo di restare intrappolati per eccesso di realtà. Un concretismo, questo, che è il gemello cattivo della speranza illuminista: il prezzo pagato dalla nostra specie per essere fuggita troppo presto dai luoghi incantati della sua infanzia. Ma questi luoghi ritornano. E prepotentemente. Sono le dimensioni in cui ci proiettano i nuovi miti: fantasy, science fiction, comics, manga, anime – cos’altro sono se non questo?

Tuttavia, come capita con ogni fenomeno di massa, la rapidità con cui il mainstream letterario tende a rigettare la spazzatura di troll e wako (ora meno, ma lo stereotipo è duro a morire) è rapida quanto la strumentalizzazione che ne fa il mainstream politico. Dopo la lettura de «Il compleanno di Bilbo» da parte di Popolizio, Santoni ricorda come la celebre edizione targata Rusconi peccasse in destrismo a causa di una prefazione alquanto conservatrice. E pensare che Benedetto Croce, idolo di Oxford già ai tempi di Tolkien, mise in guardia contro simili interpretazioni riduzioniste affermando che “la cultura non può essere asservita a un’ideale: può essere alta, politica, ma cresce su sé stessa”.

(Il giochino delle interpretazioni, oltre a essere rischioso – cosa ci vuole a farne strumento di propaganda per gli scopi di chissà chi? – è anche capriccioso. Il docente della Scuola del Libro ne fa un chiaro esempio: in Gran Bretagna, non solo Il Signore degli Anelli non è diventato un blasone delle destre, ma è stato adottato dalle comunità hippie. Googlate Gandalf’s Garden se non ci credete).

E ora veniamo alla recitazione. Perché, è bene ribadirlo, la scenografia allestita dalla società del gruppo Amazon aveva lo scopo di immergere nell’ascolto noi spettatori, oltre che familiarizzarci con la nuova traduzione della trilogia – devo ammettere che è stato strano non ritrovare il classico “Un anello per domarli” e via dicendo. Ragion per cui è comprensibile che il bardo-Santoni interroghi l’incantatore-Popolizio rispetto alle differenze fra una recitazione classica e una da audiolibro. La risposta mi colpisce per due ragioni. La prima è che, nell’affermare che ognuno legge i libri a modo proprio, viene messo in risalto il fattore personale che può provocare i malintesi interpretativi di cui sopra: le immagini evocate dalle parole non fanno altro che attingere alle nostre immagini; queste, a loro volta, sono plasmate dagli universali della cultura: le cosiddette immagini dell’inconscio collettivo – ecco perché i grandi classici sono tali: si sintonizzano con il mondo interiore di ciascuno e dell’umanità.

La seconda ragione la faccio ripetere a Popolizio:

Devo dinamicizzare la voce per cambiare quel numero infinito di righe. Il mio compito è creare delle immagini: bisogna vedere attraverso le orecchie.

In corsivo ho voluto evidenziare le parole chiave di quella che trovo una vera perla sulla recitazione da leggio. A tutti sarà capitato di vedere qualche clip con i propri doppiatori preferiti all’opera (dai personaggi Disney a quelli di Dragonball, perché no): quel dinamismo lo vivono perché si animano, si muovono, si emozionano; insomma, sono coinvolti a trecentosessanta gradi, proprio come se fossero là, in una iperrealtà. E noi con loro grazie alle immagini di cui parla Popolizio. Ma se in un film d’animazione è il comparto grafico a fornircele, nell’ascolto di un audiolibro non possiamo contare su nient’altro che la voce; la stessa voce che è narratore, personaggi, paesaggi, atmosfere. La voce allora diventa il Verbo: una sola parola e le stelle sorgono o si inabissano.

Un po’ esagerato? Forse è l’epicità tolkieniana a fomentarmi, ma sono certo che una voce sapiente può davvero elevare un libro, perfino oltre sé stesso. Io ho conosciuto Popolizio con Pastorale Americana (che a mia volta ho scoperto grazie al manualetto sulla scrittura di Santoni: ed è subito Inception!): a oggi è una delle letture più appassionanti di cui ho memoria. E lo dice un fanatico della “lingua originale”, per cui se un libro esiste in inglese è fuori discussione optare per un adattamento. Cionondimeno, fare una simile esperienza del capolavoro di Roth mi torna come un ricordo avvolgente, malinconico, nitido; emozioni – forse non le stesse dell’autore, forse nemmeno quelle dell’interprete, ma pur sempre emozioni – che mi hanno fatto vivere Pastorale e gli hanno scavato una nicchia nel mio cuore.

Quale che sia il rapporto con gli audiolibri o con Tolkien, ritengo che un’opera capace di coinvolgere emotivamente sia un’esperienza degna di essere vissuta. Ai puristi delle traduzioni “originali”, forse la soluzione Bompiani farà storcere il naso (in effetti, “Forestale” non regge il confronto con “Ramingo”); ai puristi della parola scritta, forse ascoltare La Compagnia dell’Anello apparirà l’ennesimo sacrilegio nell’era senza magia che è la postmodernità; ai puristi della letteratura, infine, forse sarà indifferente leggere, ascoltare o vedere il romanzo tolkieniano: se è fantastico non può essere reale. Ebbene, li invito tutti a provare sulle loro orecchie un’interpretazione artigianale come quella di Massimo Popolizio; a viaggiare sui colori della sua voce al ritmo pacifico della Contea o a quello tombale di Moria; a sperimentare i tempi e i luoghi della Terra di Mezzo e a scoprire nuovi orizzonti grazie al potere dell’immaginazione.

Popolizio stesso si è dovuto ricredere:

Ho cambiato idea su Tolkien: sembrava una cosa per ragazzi, ma è qualcosa di violento, viscerale, del profondo di noi. Rende organiche delle emozioni: parla molto più di noi di quanto non credessi.

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