Palestina, le proteste e l’Europa che dimentica la propria origine

Ieri, 22 settembre, in tutta Italia si sono moltiplicate le manifestazioni pro Palestina e pro Gaza. Da nord a sud, le piazze si sono riempite di cori, cartelli, bandiere e voci che chiedono una sola cosa: giustizia. Non è una giustizia astratta, non è un appello generico alla pace. È invece una giustizia che pretende il riconoscimento di un popolo che da decenni subisce occupazione, bombardamenti, confische, restrizioni di movimento, limitazioni di ogni libertà fondamentale. È anche una giustizia che rivendica il diritto alla vita di bambini, donne e uomini che continuano a morire sotto le bombe e tra le macerie, schiacciati tra un potere politico-terroristico, Hamas, che li sfrutta, e le ingerenze israeliane. Noi, qui, non possiamo fingere di non vedere; in questa sede, tra queste colonne, nelle quali abbiamo sempre difeso deboli e rivendicato diritti. Non possiamo archiviare ciò che accade a Gaza come un conflitto “lontano”, perché la distanza geografica non attenua l’orrore né riduce la nostra responsabilità morale e politica.

Il punto centrale, oggi più che mai, è riconoscere l’evidenza: le azioni israeliane non sono misure difensive, ma rappresaglie collettive che violano apertamente il diritto internazionale e il diritto umano. L’invasione di Gaza City è l’ultimo atto di questo. Colpire ospedali, scuole e campi profughi (senza corridoi umanitari aperti) non è autodifesa. Così come privare milioni di persone di acqua, energia, medicine e cibo non è sicurezza. Sono atti inopportuni, sanguinari, e non possono essere né giustificati né normalizzati. Per questo le manifestazioni di ieri hanno avuto un senso profondo: ridare voce a chi non ce l’ha, riportare al centro dell’agenda pubblica una tragedia che rischia di scivolare nel cono d’ombra dell’abitudine. Perché se la violenza diventa quotidiana, la tentazione più grande è anestetizzarci, come se un bombardamento in più fosse solo un’altra riga di cronaca.

Eppure, nel raccontare queste piazze, dobbiamo essere onesti: non tutte le forme di protesta sono state degne di quella causa. Bloccare tangenziali, vandalizzare negozi, mettere in difficoltà cittadini qualsiasi non rafforza il messaggio, bensì lo distorce. La stazione di Milano Centrale, ieri, è stata messa a ferro e fuoco da teppisti che nulla avevano in comune con la causa palestinese. Usare violenza in nome di chi subisce violenza significa tradire quella stessa causa, significa trasformare una lotta di liberazione e dignità in un pretesto per lo scontro fine a se stesso. Il dissenso deve essere netto, radicale se serve, ma non cieco. La forza delle piazze pro Palestina non sta nel rumore o nell’interruzione forzata della vita quotidiana di altri innocenti, ma nella capacità di mostrare al mondo quanto sia sproporzionata e intollerabile la brutalità in corso a Gaza. Ogni gesto che sconfina nell’illegalità o nell’aggressività non aggiunge pressione su Israele: indebolisce invece la credibilità di chi manifesta e fornisce argomenti a chi vuole delegittimare la protesta.

C’è poi la grande assente di questa stagione: l’Europa. Sempre pronta a commemorare la propria origine sulle macerie del Novecento, sulle rovine di guerre e genocidi, incapace oggi di agire davanti a un massacro che si consuma da mesi. Le istituzioni europee parlano, ma non incidono, si affrettano a convocare summit, ma non producono soluzioni. Credono che basti dichiarare solidarietà, anche senza esercitare alcuna reale influenza. La loro è un’inerzia geopolitica che diventa complicità. E allora ci chiediamo: a cosa serve l’Unione Europea se non a difendere i diritti umani di fronte alla loro sistematica violazione? A cosa serve evocare Auschwitz, Srebrenica, le deportazioni, i genocidi, se poi ci si volta dall’altra parte davanti a un nuovo orrore? È come se la memoria fosse diventata soltanto un rito, privo della capacità di trasformarsi in azione politica.

La chiosa non può che essere amara, ma necessaria. Il popolo palestinese non ha bisogno della nostra commiserazione, ma della nostra coerenza. Ha bisogno che chi crede nei diritti umani li difenda senza esitazioni, ha bisogno che il dissenso pacifico si moltiplichi nelle piazze e nei parlamenti, non che venga infangato da atti inconsulti. Ha bisogno che l’Europa ritrovi un senso, o ammetta la propria inutilità. Noi, dal canto nostro, dobbiamo scegliere: continuare a far finta di nulla, o accettare che la nostra indifferenza è parte del problema. La dignità umana non è divisibile: se vale qui, deve valere ovunque. Se vale per noi, deve valere anche per Gaza.

1 commento

  1. Secondo me l’Europa parla tanto di diritti, ma quando si tratta della Palestina resta quasi sempre in silenzio. È un’ipocrisia che fa rabbia. Non si possono ignorare le sofferenze solo per interessi politici.

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