Pensieri sulla guerra in Ucraina

Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina si è parlato tanto dei possibili pacieri, nonché delle possibili paci, ma c’è qualcosa che molti leader occidentali non hanno capito a causa delle lenti anacronistiche con cui osservano, leggono e interpretano il mondo.

Si è chiesto alla Cina di convincere Vladimir Putin a fermare le operazioni belliche in Ucraina, salvo poi rigettarne le offerte di mediazione e ridicolizzarne le proposte di pace.

La visione di Pechino sulla guerra russo-ucraina è chiaramente di parte, e risente del legame simbiotico sviluppato con Mosca, ma nessuno si è chiesto perché Xi Jinping, principale partner di Putin e nemico numero uno della Casa Bianca, avrebbe dovuto/dovrebbe fermare una guerra che lo avvantaggia sotto ogni punto di vista? La politica non è un’attività pro bono: è un do ut des.

La domanda che i leader occidentali dovrebbero porsi, e non soltanto in riferimento a Pechino, ma a tutti i potenziali pacieri, è la seguente: “Quale olocausto offrire sull’altare della mediazione?”.

Per quanto riguarda il cosiddetto “revisionismo” di Mosca, Pechino e soci, invece, i nostri leader dovrebbero chiedersi: “Che origini ha? Quali sono i moventi dei nostri rivali?”.

Domande semplici. Domande legittime. Domande giuste. Domande che nessuno si chiede e la colpa, in buona parte, è a causa dell’occidentecentrismo che annacqua e inquina le capacità di lettura, comprensione e riflessione dei nostri politici e analisti ogniqualvolta si interfacciano col Resto del mondo.

Porsi le domande giuste

Visioni occidente-centriche, orientalistiche e ormai obsolete delle relazioni internazionali hanno impedito agli Stati Uniti di capire perché il Brasile stia con la Russia e si sia rifiutato, anche durante l’era Bolsonaro, di aderire al regime sanzionatorio occidentale e/o di ridurre significativamente l’import-export.

Il Brasile ha sempre sognato l’arrivo di un’era post-americana, persino ai tempi della dittatura militare imposta dagli Stati Uniti. Perché oggi Lula, capo-ideologo dei BRICS e accanito sostenitore della Transizione multipolare, dovrebbe sanzionare un suo partner strategico e fermare una guerra che sta accelerando la dedollarizzazione?

E ancora: orientalismo e occidentecentrismo, particolarmente presenti quando si parla di islamosfera, sono le ragioni del fallimento delle pressioni occidentali su Arabia Saudita e altri.

È noto che Joe Biden abbia cercato di convincere i sauditi ad agire sulla supply chain del petrolio, così da far saltare il tavolo dell’OPEC+, allo scopo di privare la Russia di fondi utili a finanziare la macchina bellica. Eppure i sauditi vivono di petrolio, sul quale hanno costruito la loro intera economia nazionale. Senza contare che anch’essi, similmente al Brasile, supportano le battaglie dell’asse Mosca-Pechino per la Transizione multipolare e per la dedollarizzazione.

Possibile che Biden non si sia chiesto: “Perché i sauditi dovrebbero sciogliere un accordo coi russi che loro stessi hanno cercato? Perché mai dovrebbero abbassare il prezzo del petrolio e far saltare un accordo che li avvantaggia, minando la loro sicurezza nazionale a beneficio di quella occidentale?“. Se si fosse posto queste domande, non avrebbe tentato lo sforzo o lo avrebbe tentato con maggiore impegno, proponendo qualcosa agli interlocutori anziché minacciarli.

Superare l’occidente-centrismo

Uno dei motivi per i quali la nostra classe dirigente non sta capendo la direzione verso la quale la guerra in Ucraina sta portando il mondo è che risulta ancorata a visioni occidentecentriche, economicistiche e orientalistiche. Ma non è più il 1993. Non è più il 2002. L’onda del Momento unipolare sta esaurendosi.

La voglia di Transizione multipolare che oggi attraversa il mondo è diretta conseguenza del ventennio di unipolarismo, e ancor prima del quarantennio di Guerra fredda. Effetto boomerang di sanzioni, regime change e interferenze varie.

Offerte di paci giuste e proposte di mediazione win-win non arriveranno da chi ha interesse nella guerra e da chi, in esteso, tifa apertamente o velatamente per un mondo postamericano. Più aumenteremo le pressioni e le punizioni per i riluttanti, più assisteremo a reazioni contrarie.

Abbiamo a che fare con un mondo che invoca il superamento del cosiddetto “sistema internazionale basato sulle regole”, la maggiore espressione della Pax Americana, ma il persistere di visioni occidentecentriche sta impedendo ai nostri dirigenti/analisti di vedere che non è più il 2002 della War on Terror.

Il mondo è cambiato. Soltanto gli occidentecentrici si stupiscono davanti a notizie come il Sudafrica che non vuole dare esecuzione al mandato di cattura nei confronti di Putin, come l’Egitto in procinto di armare la Russia o come gli Emirati Arabi Uniti che trafficano l’oro estratto dal gruppo Wagner nell’Africa subsahariana e scambiano intelligence coi servizi segreti russi.

L’Occidente (o dovremmo parlare, piuttosto, di Occidenti?) non ha che un modo per affrontare la sfida della guerra fredda 2.0: superare ogni orientalismo e occidentecentrismo, due lenti interpretative errate e obsolete che più verranno utilizzate, più faranno danni. Danni che stanno già facendo. E la lotta per la Transizione multipolare è solo agli esordi.

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