Per una prospettiva ragionata del mondo tra diritto e politica internazionale

Il mondo come dovrebbe essere

Spesso ci domandiamo le cause delle numerose atrocità alle quali assistiamo quasi quotidianamente. 

I media ci informano sulle stragi, le guerre, i crimini e i conflitti che avvengono nelle zone calde del mondo; o perlomeno in quelle che destano interesse in base al momento. La sensazione è un insieme di disorientamento, di disfattismo, di disgusto. Ci si chiede perché nessuno interviene, e perché questi accadimenti sembrano perpetuarsi ogni volta. 

Il vero problema è che la nostra mentalità, complice anche l’affermazione falsamente definitiva dell’ordine internazionale liberale ad inizio millennio, si sofferma solo sull’interpretare il mondo per come dovrebbe essere; e non per com’è in realtà. 

Ed è appunto qui che si arriva al punto nevralgico, poiché questo modo di ragionare ci fa commettere errori impercettibili. Non è possibile, ad esempio, scambiare le negatività di una specifica classe dirigente con l’elemento fondante del nostro approccio alla politica. Questo perché, appunto, il ragionamento di base è diverso. Noi possiamo permetterci di compiere determinate osservazioni, ma non abbiamo a che fare con interessi superiori che sono quelli cui devono rispondere gli Stati nella gestione delle loro politiche estere. Questo dando per scontato, anche se nella realtà non sempre avviene, che le classi dirigenti non ragionino in base a come il mondo dovrebbe funzionare. 

In definitiva si tratta di un problema connesso alle sfere del realismo e dell’idealismo, ma anche alla tensione tra diritto internazionale e politica internazionale. Il bilanciamento di questa tensione a livello comunicativo influisce sulla nostra percezione dei fenomeni internazionali e la connota di consapevolezza più o meno adeguata. 

Liberalismo istituzionale e realismo, regole e fatti

Leggendo i manuali di diritto internazionale è probabile che si troveranno delle spiegazioni su come questa disciplina risulti pragmatica e realista, poiché sostanzialmente basata su fatti empirici.

In realtà è vero solo in parte, poiché l’utilizzo dei fatti empirici per creare regole giuridiche comporta una costrizione all’inseguimento di accadimenti già sviluppati; senza la possibilità di speculare sul futuro con ottica risolutiva. 

Ecco perché servono le relazioni internazionali, ovvero lo studio della politica internazionale, ed ecco perché, all’interno di questa seconda disciplina, la corrente liberale istituzionale quella cosiddetta repubblicana hanno perso influenza rispetto al realismo. Sì, perché sostenere la risoluzione di controversie per mezzo delle sole organizzazioni internazionali e delle regole del diritto purtroppo non basta; oggi come nel passato. I fatti li dimostrano, e i fatti dicono che senza gli strumenti adeguati si può sentenziare in maniera infinita su colpe e colpevoli ma non senza poter risolvere la situazione nel concreto. 

Non si può fare a meno di due elementi: l’equilibrio di potenza e l’interesse nazionale. Se il primo risultasse compromesso o il secondo minacciato potrebbero susseguirsi conseguenze negative in base al contesto di riferimento. Qualora entrambe le cose si avverassero, il risultato potrebbe essere esplosivo. Ne sono chiari esempi l’attuale guerra in Ucraina e la crisi di Gaza. Vero o falso, la Russia percepisce delle minacce ai propri interessi e viene schiacciata verso la Cina; con la quale non può che collaborare. In Medio Oriente, intanto, l’Iran riesce a condurre guerre per procura grazie alla sua rete di proxy dallo Yemen fino al Libano, destabilizzando l’area ai danni del dialogo tra Israele e le potenze della penisola Arabica. 

Ora è facile capire le ricadute di tutto questo e la difficoltà di risoluzione di simili complessità internazionali; ma se improvvisamente subentra il concetto di colpa ecco che tutto l’edificio descrittivo decade. La colpa fa collassare l’impianto logico delle relazioni internazionali. Ma attribuire le colpe non deve essere lo scopo di una buona analisi di politica internazionale. Al contrario, essa dovrebbe disegnare un preciso schema degli interessi in gioco e di quale arena ne accolga lo scontro. 

In che tipo di sistema ci troviamo? Unipolare? Bipolare? Multipolare? O di altra natura ancora? Chi sono gli attori al suo interno e che interessi hanno? Partire da queste domande potrebbe essere un discreto punto di partenza, in luogo di tentativi di analisi fallaci poiché orientati all’attribuzione di colpe per i conflitti internazionali. 

Come funziona il mondo? 

Il nostro professore di relazioni internazionali una volta portò una biografia di Dario Argento, il noto regista di film horror, per farci riflettere sul concetto di paura. In apparenza quel libro non aveva alcuna connessione con la nostra materia, ma la paura sì. Spesso la paura funziona come un motore sottile e insidioso per il comportamento delle classi dirigenti negli Stati e negli altri attori internazionali. 

Io vorrei invece citare l’autobiografia di un altro famoso personaggio: Jordan Belfort, anche noto come il Lupo di Wall Street. Quando, alla fine dei suoi particolari trascorsi, Belfort viene arrestato; egli incontra finalmente l’agente federale che aveva indagato su di lui per lungo tempo. “Devo dirglielo, lei è stato un avversario notevole. Ho bussato ad almeno cento porte e non ho trovato nessuno disposto a testimoniare contro di lei” dice l’agente federale. “Succede sempre quando ci guadagnano tutti, non crede?” replica Belfort. Questo breve dialogo mi ha fatto pensare all’episodio che Tucidide riporta in merito all’incontro degli emissari di Atene con quelli di Melos durante la guerra del Peloponneso. Potenza forte prevale su potenza debole. Una regola inevitabile, pena la distruzione della potenza debole. A nessuno interessa chi sia colpevole di cosa in politica internazionale, tutti considerano quali vantaggi possono ottenere. È giusto? No, però funziona così; e per ora non si sono riscontrate variazioni. 

Questo ragionamento ci dovrebbe dunque spingere a riconsiderare il nostro modo di guardare alla politica internazionale. Senza i giusti strumenti analitici e le chiavi di lettura adeguate come può l’informazione mediatica aiutare le persone a comprendere? Certo è più facile dividere tutto in schieramenti e ridurre contese storiche al tifo da stadio. Tutte anomalie dannose, perché influenzano la percezione dei cittadini inducendoli a credere a soluzioni che in realtà non possiedono alcuna fattibilità. 

In ugual misura, quando si parla di politica estera e di politica internazionale, bisognerebbe rimuovere quei vincoli di moralità aprioristica che ogni volta stroncano l’espansione di un dibattito e del relativo tema; impedendone così l’approfondimento a beneficio di tutti. 

Va poi a detrimento del dibattito pubblico la volontà di inserire ogni avvenimento in categorie o schieramenti precisi; i quali altro non sono che una forzatura, talvolta verosimile talaltra sbagliata, astratta della più complessa realtà che ci circonda. 

Quando discuteremo a tavola le notizie del telegiornale, quando leggeremo il prossimo articolo, quando commenteremo il prossimo post non domandiamoci dov’è la colpa; cerchiamo di distinguere gli interessi.

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