Perché l’esito delle amministrative non condizionerà le elezioni nazionali

L’approssimarsi delle elezioni amministrative, che riguarderanno le principali città italiane, invita a riflettere sull’influenza del voto del 3-4 ottobre in chiave nazionale. Le previsioni sono chiare e favorevoli al centrosinistra a Napoli, Milano e Bologna, mentre l’incertezza di Roma e Torino fa sperare il centrodestra. Ciononostante, non è certo che l’urna nazionale confermi quella locale; il susseguirsi di elezioni amministrative e nazionali tra il 1993 e il 1994 è un esempio che fa capire la fragilità del nesso tra le due. 

In merito alla situazione elettorale di oggi, c’è il rischio che addirittura né a Bologna né a Milano si vada al ballottaggio: Lepore, candidato del centrosinistra nel capoluogo emiliano, è stimato intorno al 60% (Porta a Porta); mentre Sala, sindaco milanese uscente, è dato al 50% (YouTrend) e trainato da un PD molto influente in città. A Napoli Manfredi, candidato del centrosinistra, è stabile sul 45.5% (Ipsos) e nel capoluogo campano la Lega non si è neppure presentata a sostegno di Maresca, magistrato proposto dal centrodestra. Roma e Torino restano l’ultima spiaggia del centrodestra: secondo i media Michetti è in lieve vantaggio su Gualtieri, centrosinistra, e Damilano è testa a testa con Lorusso. In entrambe le città, tuttavia, c’è un numero notevole di indecisi (circa 40%) che potrebbe fare la differenza. 

In tale contesto, pur dividendo il successo di Roma e Torino da ambo gli schieramenti, quindi ipotizzando Torino al centrodestra e Roma al centrosinistra, la coalizione Lega/FDI/FI perderebbe 4-1. E sarebbe un risultato difficile da digerire sui territori laddove, invece, a livello regionale il centrodestra governa quasi tutte le regioni del Paese. Cos’è stato sbagliato? Di chi le colpe? Domande che i leader dovranno porsi, per capire quali saranno stati gli errori. Non c’è stato un accordo trasparente e tempestivo, come dovrebbe esserci in un’alleanza tra partiti, sui candidati nelle città; questo, forse, il primo problema. A cui si è aggiunta una scelta dei profili talvolta discutibile: a Milano Bernardo sembra un rimpasto dopo il dietrofront di Albertini, mentre a Roma Michetti appare spesso discutibile quando appare e disserta sui fasti della Roma imperiale – peraltro con un contendente, Gualtieri, storico di professione. Il paragone con le scelte regionali è ancora più duro se, invece, si pensa alle figure decise per le elezioni dei governatori: Zaia, Fedriga, Tesei, la compianta Santelli, Toti. Tutti profili di competenza e rappresentanza. 

Alle domande sugli errori, però, non deve aggiungersi quella sul futuro delle elezioni politiche, viste nell’ottica delle ipotesi fatte in merito alle amministrative. Nel 1993, infatti, la tornata di elezioni autunnali evidenziò una sinistra forte e vincente: Genova, Roma, Napoli, Palermo (dove Orlando vinse con il 75% dei voti al primo turno), Trieste, Venezia. Alla luce di questi risultati, e con una classe politica smembrata dallo scandalo di Tangentopoli e dalle inchieste di Mani Pulite, la destra sembrava spacciata per l’anno successivo. E invece nel 1994 l’urna fu propizia per il Polo delle Libertà e del Buon Governo, le coalizioni di centrodestra guidate da Silvio Berlusconi, che conquistarono quasi tutte le regioni italiane, fra cui Lombardia, Lazio, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia e Campania. Molti di quei voti furono ottenuti cavalcando l’onda della Democrazia Cristiana, che non sopravvisse alle inchieste, nonostante la nascita del Partito Popolare Italiano; il partito non resistette alle pressioni della magistratura, ma gli elettori c’erano ancora. E così supportarono il nuovo tycoon italiano. Che vinse contro ogni pronostico, soprattutto in considerazione dell’anno precedente. 

Si badi, tuttavia: l’importanza di amministrare città tanto importanti quanto quelle oggetto di contesa attuale è grande. E non va sottovalutata affatto. Ma sarebbe sbagliato ritenere che il territorio rispecchia in tutto e per tutto il quadro nazionale, giacché spesso nelle città gli elettori votano le persone, non necessariamente i partiti. Ed è altresì comprensibile: quella locale è una politica diretta, fatta di contatto col primo cittadino. Sarebbe tanto bello quanto utopistico che così fosse anche a livello nazionale.  

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