In Puglia il dibattito sulla programmazione finanziaria 2028–2034 con un’attenzione importante ai territori e alla flessibilità dei fondi. Nella riunione congiunta delle Commissioni LIBE e REGI, l’Unione riflette sulla futura distribuzione dei fondi strutturali e sul modello di governance più adatto alle sfide emergenti
Nel pieno del dibattito sul futuro della politica di coesione europea, Bari è stata, nei giorni scorsi, il centro simbolico di una sfida decisiva per le regioni più fragili dell’Unione. La riunione congiunta della Commissione LIBE e della Commissione REGI del Parlamento europeo, con la presenza del vicepresidente della Commissione Ue Raffaele Fitto e del ministro per gli Affari europei Tommaso Foti, ha rappresentato molto più di un semplice appuntamento istituzionale: ha segnato l’apertura concreta del confronto sul Quadro Finanziario Pluriennale 2028–2034. Una fase che, nelle parole degli stessi partecipanti, sarà segnata da “un anno e mezzo di duro lavoro” e da un equilibrio delicato tra esigenze nazionali, interessi regionali e priorità strategiche dell’intera Unione.
Sul tavolo, al centro delle preoccupazioni, c’è il destino dei fondi di coesione: oltre 450 miliardi di euro, dei quali almeno 218 dovrebbero restare vincolati alle regioni meno sviluppate, come il Mezzogiorno italiano. Per i territori del Sud Europa, questi fondi non rappresentano solo un sostegno economico, ma una leva fondamentale per colmare disuguaglianze storiche, infrastrutturali e produttive. Lo ha sottolineato con forza l’eurodeputato pugliese Francesco Ventola (ECR/FdI), che avverte: mettere in discussione la coesione significa aumentare il divario territoriale, in un momento in cui servirebbe esattamente il contrario.
Il punto cruciale della proposta della Commissione Ue, presentata il 17 luglio, risiede nell’introduzione di una maggiore flessibilità. I fondi dovrebbero diventare più reattivi alle esigenze emergenti: difesa, acqua, energia, migrazioni, housing. Non si tratterebbe, almeno formalmente, di una riduzione dei fondi, ma di un loro utilizzo più dinamico. Tuttavia, in molti temono che questa flessibilità possa tradursi in una perdita di controllo da parte degli enti locali, con una governance più centralizzata e meno partecipata. Un rischio definito “reale” da più di un osservatore a Bruxelles, dove si teme che le regioni finiscano per diventare semplici esecutori, anziché protagonisti delle politiche di sviluppo.
Raffaele Fitto, ex ministro per il Sud e oggi al centro della partita europea, ha rassicurato più volte che nessuna risorsa sarà dirottata fuori dalla coesione, e che anzi verranno mantenuti i criteri storici di distribuzione. Il suo approccio, improntato a rigore tecnico e capacità negoziale, è stato apprezzato anche da forze politiche al di fuori del suo schieramento. Fitto sta portando avanti una linea che tenta di conciliare disciplina finanziaria e protezione dei territori più vulnerabili, in un contesto che vede anche una crescente attenzione al riarmo, alla competitività industriale e alla sicurezza energetica dell’Unione.
L’Italia, in questo contesto, appare rafforzata sul piano politico. Ventola, come altri rappresentanti italiani a Bruxelles, segnala come la percezione del governo guidato da Giorgia Meloni sia cambiata radicalmente. Non più un attore incerto e provvisorio, ma un governo stabile, capace di interlocuzioni costanti e credibili. La stessa continuità nella rappresentanza politica, con ministri e commissari che portano avanti linee coerenti, ha contribuito a modificare l’immagine dell’Italia nelle istituzioni comunitarie.
Al di là del linguaggio diplomatico e delle dichiarazioni di principio, resta il nodo politico della prossima programmazione. Due visioni si stanno lentamente contrapponendo: da un lato chi vede nella coesione una politica “classica” da aggiornare ma difendere, dall’altro chi la considera ormai superata rispetto alle nuove priorità strategiche europee. La linea di faglia passa anche all’interno delle stesse istituzioni Ue, con una Commissione che guarda a nuovi strumenti comuni, mentre il Parlamento e il Comitato delle Regioni insistono sulla necessità di tutelare la dimensione territoriale, evitando che la coesione venga assorbita in un fondo unico indistinto.
A Bari si è respirata la consapevolezza di essere all’inizio di una trattativa complessa, dove nulla è ancora deciso, ma in cui l’Italia – e in particolare il Sud – non può permettersi di abbassare la guardia. In gioco non ci sono solo risorse economiche, ma il futuro di milioni di cittadini europei che vivono ai margini dello sviluppo. E da questo punto di vista, le scelte che verranno prese nei prossimi mesi definiranno non solo l’equilibrio tra centro e periferia, ma anche il senso stesso dell’integrazione europea.