Verba manent: Del Mastro rinviato a giudizio, ma non secondo l’accusa

Passati i mesi, riaccesa la polemica. I fatti di febbraio, quando Giovanni Donzelli dagli scranni di Montecitorio chiedeva ai deputati del PD “siete con lo Stato o con i mafiosi?”, con il caso Del Mastro che esplose in maniera prepotente, sono tornati a far discutere poiché quest’ultimo è stato rinviato a giudizio.

L’accusa è di aver rivelato un segreto d’ufficio, inerente al caso Cospito; fin qui tutto all’apparenza normale. Le indagini, un caso politico/mediatico, la scelta di mandare a processo il deputato di FDI. Sennonché la battaglia tra questo governo e la magistratura pare abbia ripreso vigore. A partire dalle parole del ministro Crosetto, il quale sostiene che, a suo avviso, ci sarebbe una volontà unitaria e ostile della magistratura contro il governo Meloni. Il rinvio a giudizio di Del Mastro, al netto del caso di specie, fa riflettere soprattutto perché la procura aveva chiesto l’archiviazione. L’accusa, cioè, sosteneva che non fosse necessario procedere. Forse un caso rarissimo, che vede le parti invertirsi: giudici (Gip e Gup) che decidono per imputazione coatta e rinvio a giudizio, il procuratore chiede l’archiviazione perché “il vincolo di segretezza non era di facile comprensibilità”.

Dall’opposizione si sono alzati cori che invocano le dimissioni, come spesso accade nell’agone politico italiano, con più eventuali dimissionari che effettivi responsabili delle istituzioni. Un rinvio a giudizio del genere, sì deciso all’interno di un caso assai delicato, ma sul quale aleggiano ombre già avvistate, non è suscettibile di dimissioni. In primo luogo per ragioni giuridiche: non c’è stata ancora alcuna udienza di primo grado, tantomeno, ovviamente, una sentenza di condanna. E il sistema garantisce l’innocenza dell’imputato per Costituzione, oltre che gli dà la possibilità di provare la sua innocenza attraverso due gradi di giudizio e un giudizio di legittimità. Pertanto, Del Mastro può stare tranquillo al suo posto, per ora. Si spera che la giustizia faccia il suo corso, esercitata da quella maggioranza di operatori onesti, probi e rispettosi delle leggi e distanti dalle dinamiche politiche. Purtroppo questa collettività di giudici viene messa in secondo piano dall’agire di altri, che gettano fango sulla dea bendata. 

Il governo, però, non è certamente solo vittima del sistema. La riforma della giustizia, tanto sbandierata in campagna elettorale, pare sia stata messa in secondo piano. Troppo rischiosa. Sarà, forse, l’ennesimo esecutivo che rimanderà a data da destinarsi quella che, nella realtà, appare come la riforma più urgente nel nostro Paese. 

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