Yemen; dalla ribellione Houthi ai risvolti per la politica internazionale

Per comprendere in piena luce la situazione che caratterizza attualmente lo Yemen e la sicurezza dei traffici marittimi attraverso il mar Rosso bisogna prima partire dalla geografia del luogo.

La geografia degli snodi

Sin da quando gli sforzi di Ferdinand de Lesseps hanno portato alla creazione del canale di Suez, tutta l’area del mar Rosso ha assunto il ruolo di vettore da e verso il Sud-est asiatico. Se è vero che chi controlla Suez controlla anche questo vettore, lo è altrettanto il fatto che lo stretto di Bab-el-Mandeb e il più ampio golfo di Aden siano capaci di controbilanciare tale controllo proveniente da settentrione. Non a caso un ufficiale del Regno d’Italia indicò al Parlamento che quella zona era da intendere come una “chiave del Mediterraneo”.

Lo stretto di Bab-el-Mandeb è racchiuso tra Eritrea e Yemen; con le isole Hanish, territorio yemenita, che delimitano il passaggio. Per le navi provenienti da Suez o dirette verso il Mediterraneo si tratta di una tappa obbligatoria. È qui che la dimensione di pericolosità navale, recentemente riesplosa, si intensifica al massimo livello. Quando, spostandosi verso est, si arriva al golfo di Aden quella che si incontra è una porzione di mare aperto meno aggredibile dalle coste yemenite prima di raggiungere l’Oceano Indiano in profondità, perché quei litorale sono sotto il controllo del governo riconosciuto che non costituisce una minaccia alla navigazione.

Chi sono gli Houthi?

Prima di descrivere nel dettaglio le varie dinamiche legate alla situazione del mar Rosso, occorre fare chiarezza sull’origine dei vari attori coinvolti al fine di comprenderne sia la storia complessiva sia il ruolo odierno.

In Yemen esiste una fazione paramilitare, attualmente controllante diverse porzioni di territorio nazionale, fondata dall’imam Hussein Al-Houthi, nella città di Saada. Si tratta di un gruppo che fa riferimento alla fede zaydita, a sua volta inglobata nella più ampia famiglia dell’Islam sciita. La variante zaydita è presente solo in Yemen, e conserva una forte attenzione all’istituzione dell’imamato, ritenuta fondamentale per guidare i fedeli a livello religioso. È interessante notare che il vero nome della fazione sarebbe Ansar Allah, che significa Partigiani di Dio, anche se hanno assunto il nome del fondatore a partire dalla sua morte nel 2004. Il fatto di attribuire molta importanza agli imam è riconducibile alla rilevanza di alcune figure individuali tipica della tradizione sciita, dove però vi è la figura dell’ayatollah. Lo Zaydismo si avvicina invece alle istanze sunnite, mantenendo tuttavia caratteristiche ben diverse che ne determinano la diversa appartenenza nel quadro religioso islamico.

I loro alleato tradizionale è ovviamente l’Iran, potenza regionale del Golfo nonché nazione-guida dello Sciismo all’interno del panorama islamico. Appare chiaro che gli Houthi si inseriscono in una gamma assai ampia di formazioni insurrezionali, o comunque irregolari, sostenute da Tehran al fine di condurre guerre per procura in settori strategici od altri tipi di azioni militari dirette di cui l’Iran non è disposto ad assumersi la responsabilità internazionale. Altre connessioni esistono tra gli Houthi e la Cina, così come con la Russia e la Corea del Nord.

Sarebbe un errore pensare agli Houthi solamente come un gruppo totalmente sottoposto al controllo iraniano e dunque rispondente solo al controllo di quella potenza. Il loro arsenale è composto da armi aventi molteplice provenienza e viene alimentato grazie al contrabbando; anche se l’erogazione del sostegno finanziario è invece riconducibile soprattutto all’Iran. Quando si parla di attori mediorientali bisogna però ricordarsi che la lettura strategica deve essere accompagnata anche da quella religioso-identitaria, soprattutto in relazione alle fattispecie più estreme ed originate da questioni interne.

Yemen; tra guerra e equilibrio internazionale

Nel gennaio del 2015 gli Houthi si impossessano del palazzo presidenziale a San’a, la capitale dello Yemen. Il Presidente Hadi viene messo agli arresti, anche se riuscirà a fuggire in un secondo momento; consolidando così la propria roccaforte ad Aden, che diverrà capitale provvisoria del governo internazionalmente riconosciuto. Due mesi dopo si forma una coalizione militare, guidata dall’Arabia Saudita, che interviene nel Paese. Gli obiettivi sono due: ripristinare il governo riconosciuto e respingere gli Houthi verso nord.

Sebbene si tratti di una guerra molto recente, le origini di questa conflittualità risalgono almeno al 1990; anno in cui si verifica una riunificazione tra i due Stati preesistenti, mai completata veramente a livello effettivo. Nel 1994 scoppia una guerra civile, in cui i nordisti guidati da Saleh prevalgono sulla fazione meridionale ed impongono il loro controllo sui centri di potere. Non solo, le zone meridionali, più ricche di petrolio, vedono i loro profitti indirizzarsi soprattutto verso la capitale a settentrione. A questo si aggiunge l’emarginazione della popolazione del sud.

Arrivando al 2011, anno delle Primavere Arabe, possiamo constatare l’effettiva presenza di moti di rivolta contro il governo di Saleh. Tuttavia si tratterà di una rivoluzione mancata, poiché le dimissioni di Saleh lasciano spazio al suo vice Hadi allorché i moti spontanei originatosi in Yemen vengono poi strumentalizzati per garantire la continuità del regime in maniera sistemica.

Dallo Yemen alla sicurezza globale: le minacce al commercio marittimo

La rilevanza internazionale degli Houthi arriva nel momento in cui i ribelli yemeniti cominciano dapprima a bersagliare ripetutamente il territorio saudita; arrivando in seguito a minacciare il traffico commerciale via nave passante dallo stretto di Bab-el-Mandeb lungo la rotta che giunge sino al Mediterraneo attraverso il mar Rosso e Suez.

Non è la prima volta che quest’area vede sorgere un pericolo a livello marittimo. Fin dagli anni Novanta il caso della Somalia costituiva infatti una notevole preoccupazione per i navigli che transitavano da o verso l’oceano Indiano. Tra il 1992 e il 1993 venne organizzata la missione UNITAF, nota anche come operazione Restor Hope, assieme alle varie missioni UNOSOM.

Tornando allo Yemen e ai traffici commerciali, quello che si ricava è l’inserimento della ribellione Houthi in un quadrante di crisi sempre più consolidato; sviluppatosi attorno a Bab-el-Mandeb, un importante punto di strozzatura per i commerci direttamente annesso ad un altro collo di bottiglia fondamentale, che è Suez. Questo ci fa comprendere che quest’area ingloba due punti fondamentali per gli scenari internazionali globali.

Appare chiaro che sono vari gli interessi che vengono ad incontrarsi in tale scacchiere. Proprio perché la Somalia e lo Yemen sono stati falliti o trascinati in scontri continui e guerre civili, le maggiori potenze internazionali cercano di salvaguardare la sicurezza del passaggio marittimo. Ecco dunque che troviamo installazioni militari cinesi e francesi a Gibuti, una base turca in Somalia, vari presidi statunitensi in tutta la penisola Arabica oltre ai territori d’oltremare inglesi e francesi nell’oceano Indiano.

Le missioni navali

Una forte reazione è arrivata tramite un intervento navale anglo-americano, il cui scopo è stato quello di effettuare una ritorsione attiva che ha comportato il bombardamento dei porti e degli scali logistici funzionali alla pirateria degli Houthi.

È notizia recente che anche l’Unione Europea creerà una sua forza d’intervento grazie a una richiesta congiunta della Francia, della Germania e dell’Italia. Questa missione, al contrario di quella anglo-americana, sarebbe limitata ad una funzione di deterrenza per sventare ulteriori aggressioni navali. È importante, anche e soprattutto per l’Italia, non tralasciare l’importanza di dedicarsi assiduamente alla sicurezza nel cosiddetto Mediterraneo allargato. Tutte le iniziative, anche se attive, capaci di contribuire alla preservazione della stabilità in termini sia securitari sia commerciali dovrebbe essere perseguita, pena l’irrilevanza negli scenari geostrategici attuali e futuri.

La situazione è in continua evoluzione. Bisognerà prestare molta attenzione all’efficacia delle missioni navali. Se gli obiettivi di questi interventi non dovessero essere raggiunti a breve termine, occorrerebbe rinforzarne l’efficacia e la portata operativa. In gioco non c’è solo il commercio globale, ma anche la credibilità dell’Europa e dell’Occidente.

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