13° giorno di guerra: i conflitti di interesse con Erdoğan

È ormai da 13 giorni che la guerra in Ucraina continua senza sosta. Nonostante i negoziati, non c’è verso che la Russia si fermi in questa lotta senza senso. A intervenire nelle mediazioni, non solo le fazioni europee in prima linea con Macron, ma anche gli amici orientali come Turchia ed Israele.

Il presidente della Turchia Erdoğan, infatti, ha avuto un colloquio con il suo omologo russo Vladimir Putin il 6 marzo. Come abbiamo avuto modo di capire in questi anni, il turco non fa mai nulla per niente: anche gli interessi di Ankara sono a rischio nella guerra di Putin, sia per il coinvolgimento della Russia in altri conflitti in Medioriente, sia per i legami economici con Mosca e con Kiev, in quanto importanti partner commerciali.

In più, Ankara fa parte della NATO con cui condivide la condanna dell’invasione ma non le sanzioni, a detta sua inutili, ed è dei paesi che non ha chiuso lo spazio aereo alla Russia, restando uno dei territori verso cui i russi fuggono.

A Putin avrebbe chiesto un’imminente cessate il fuoco – che puntualmente non arriva mai – per permettere di allentare le preoccupazioni umanitarie nella regione e si è offerto di dare un tipo di contributo, affinché il problema ucraino sia risolto il prima possibile con mezzi pacifici. Sembrerebbe un mediatore doc, dato che continua anche a supportare a Zelensky: lo ha fatto sbarrando l’accesso agli stretti del Bosforo e dei Dardanelli alle navi russe.

Una richiesta che Erdoğan ha potuto accogliere appellandosi alla Convenzione di Montreux del 1936: questa autorizza la Turchia a impedire alle navi da guerra di raggiungere il Mar Nero attraverso i suoi stretti in caso di conflitto.

Ma il presidente turco ha difficoltà a mantenere un tale equilibrio, perché non è nelle sue corde. Dunque, anche se ha mantenuto e confermato agli Stati Uniti il pieno supporto alla sovranità e integrità territoriale all’Ucraina, urge trovare una soluzione pacifica poiché il sultano ne potrebbe risentire.

A tal proposito, un incontro tra i Ministri degli esteri dei due paesi dovrebbe essere previsto per il 10 marzo ad Antalya. Un incontro che nasce con buoni presupposti, anche per il fatto che Erdoğan è l’unico presidente verso cui Putin sembrerebbe ben predisposto, nonostante abbia ribadito la sua posizione di non voler cessare “l’operazione militare”.

Il difficile rapporto tra il sultano e lo zar

Per quanto male si possa pensare, il Sultano ci tiene ad avere dei buoni rapporti con Putin, preservando però anche quello con Zelensky. Sembrerebbe rivivere, in un certo senso, la fine del 2015 (25 novembre) quando Mosca ed Ankara si accusavano e si minacciavano a vicenda finendo con l’abbattimento di un jet russo al confine siriano da parte dell’esercito turco, che sappiamo essere il secondo esercito più potente nella NATO.

Una vicenda che fece sprofondare i due paesi in una profonda crisi. Mosca aveva annunciato dure sanzioni economiche contro la Turchia: controlli serrati sulle importazioni di generi alimentari turchi che, secondo il leader russo, più del 15% non sono conformi alle sue norme sanitarie. Aveva anche minacciato di bloccare i turisti russi, i voli da e verso la Turchia e di interrompere il gasdotto Turkish Stream e la centrale nucleare di Akkuiu.

I russi, insomma, si erano risentiti che Erdoğan non avesse chiamato per scusarsi, come invece sosteneva il leader turco. «Un colpo da 44 miliardi di dollari», titolava il portale russo di informazione economica Rbk. Una somma che quantifica quanto effettivamente possa essere importante una relazione come quella russo – turca: Mosca è il secondo partner commerciale di Ankara, un interscambio pari a 31 miliardi di dollari nel 2014 e a 18,1 miliardi per i primi nove mesi del 2015. Considerando anche il settore dei servizi, la cifra sale appunto a 44 miliardi.

Il dissidio scomparirà solo quando Erdoğan, dopo mesi, chiederà scusa dell’accaduto e si rinsalderà quella pace idilliaca tra lui e Putin. Una luna di miele che coinvolgerà anche il fronte energetico: Mosca è il principale fornitore di gas della Turchia, che importa dai russi il 60% del fabbisogno annuo; la Turchia, dopo la Germania, è il secondo cliente di Mosca. Uno scenario che si potrebbe riproporre anche oggi, con la guerra ucraina, data la posizione ambigua Erdoğan.

Il corteggiamento all’Ucraina

Nonostante le intere strategiche con la Russia, la Turchia, come ogni altro paese, si guarda intorno corteggiando chi può portarle ulteriori vantaggi. Nella politica di Erdoğan non c’è spazio per le alleanze ma solo per partenariati temporanei e funzionali ad ottenere nel tempo maggiori autonomia e potere. Questo vale anche per la Russia, da cui ha acquistato un sistema d’arma antiaereo S400.

Ma cosa c’entra l’Ucraina in tutto questo? Essa ha un ruolo di primo piano per la costruzione da parte di Ankara di un’area di influenza sui Balcani e sul Mar Nero, soprattutto dal momento che Kiev si è avvicinata all’Occidente. Il Sultano ha promesso appoggio diplomatico su varie questioni: libertà di navigazione nel Mar Nero, liberazione dei cittadini ucraini arrestati dallo scoppio della guerra nel Donbass, annessione della Crimea e implementazione degli accordi di Minsk. Dunque, sarebbe stata un’area di libero scambio per il commercio bilaterale. Hanno cominciato nel 2018 con un commercio di beni dal valore di 4 miliardi di dollari: l’obiettivo era arrivare a 10 miliardi.

La Turchia ha venduto nel 2014 all’Ucraina i droni da guerra TB2, poi usati dall’esercito di Kiev negli anni della crisi del Donbass e che continuano ad infliggere pesanti sconfitte all’esercito russo in questi giorni. Circostanza, anche questa, che ha infastidito Putin e che sicuramente non hanno facilitato la strada al ruolo di negoziatore di Erdoğan.

La Crimea una terra contesa sempre più da vari Paesi per la sua posizione geografica. La priorità di Erdoğan è la protezione dei tatari stanziati in Ucraina, un gruppo etnico di origine turca della Russia che considerano la Crimea la “loro storica madrepatria”. Questi ultimi rappresentano il 15% della popolazione della penisola e non hanno mai visto di buon occhio il cambio di sovranizzazione. Se un domani il rapporto idilliaco, ma molto fragile, tra Putin e il Sultano dovesse finire, quest’ultimo potrebbe utilizzare i tatari come scusa per destabilizzare la penisola, supportata dall’Ucraina e dal resto dell’Occidente.

Zelensky si è trovato nel 2019 in prima linea nella promozione di iniziative a vantaggio dei tatari: l’inaugurazione di un ufficio di rappresentanza a loro dedicato ad Ankara. Dunque, come andrà a finire il negoziato con la Turchia? Quali saranno gli effetti?

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